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Bce e Fed dividono le strade. Il commento di Barba Navaretti

La Federal Reserve lascia i tassi invariati ma accelera sul tapering e si prepara a innalzare il costo del denaro la prossima primavera. A stretto giro di posta, la Banca centrale europea ribadisce la politica accomodante anche se pone fine agli acquisti di debito previsti dal programma pandemico. L’economista Barba Navaretti: Francoforte ha le sue ragioni, presto per capire se la sua scelta è azzeccata

Federal Reserve e Banca centrale europea mai così lontane. Il giorno dello strappo presto o tardi doveva arrivare, con gli Stati Uniti quasi falchi e l’Europa molto colomba. Nel giro di 24 ore hanno preso forma due politiche monetarie diverse, come i due contesti inflazionistici ed economici (qui l’intervista all’economista Gustavo Piga). E così, le strade di Jerome Powell, numero uno della Fed e di Christine Lagarde, capo della Bce, si dividono.

Nella notte italiana, la Fed ha annunciato il cambio di rotta di fronte a un’inflazione che galoppa (+6,8% a novembre). Pur mantenendo i tassi di interesse invariati, la banca centrale americana ha deciso, con voto unanime, di raddoppiare la velocità del processo di riduzione degli acquisti di asset portandola a 30 miliardi di dollari al mese, dai 15 miliardi di novembre e dicembre. A tale passo il cosiddetto tapering, tecnicamente la riduzione degli stimoli, si chiuderà in marzo, concedendo così alla Fed una maggiore flessibilità sui tassi di interesse, per i quali si prevedono tre rialzi dello 0,25% nel 2022 e altri tre nel 2023.

Powell è stato chiaro. “Non alzeremo i tassi fino a quando il tapering non sarà chiuso. La ripresa economica procede rapida ma la variante Omicron pone dei rischi all’outlook, i prezzi caleranno il prossimo anno”. E comunque, sì, l’inflazione americana non è transitoria, bensì strutturale. E questo ha fatto la differenza.

Decisioni e situazioni diverse in Europa, dove l’inflazione rimane in orbita 2%. Francoforte ha più volte detto di voler mantenere un atteggiamento cauto, accomodante, senza strappi o sterzate. Ma mettendo in conto prima o poi un ripiegamento degli stimoli monetari. E così è stato. Al termine del board, la Bce ha deciso di lasciare fermi i tassi d’interesse: il tasso principale rimane a zero, il tasso sui depositi a -0,50% e il tasso sui prestiti marginali a 0,25%. Gli analisti erano sicuri che la Bce non avrebbe alzato i tassi nel 2022 e stimano che difficilmente lo farà anche nel 2023.

Non è tutto. La Bce ha annunciato infatti che terminerà a fine marzo gli acquisti di debito tramite il programma per l’emergenza pandemica (Pepp). L’Eurotower comunque condurrà gli acquisti nel primo trimestre ad un ritmo più basso che nel trimestre precedente. Si allunga però almeno fino a fine 2024 l’orizzonte temporale dei reinvestimenti dei titoli acquistati con il programma pandemico Pepp una volta che questi arrivano a scadenza.

Una volta terminato Pepp a fine marzo, la Bce acquisterà debito “ad un ritmo mensile di 40 miliardi nel secondo trimestre 2022 e 30 miliardi nel terzo” tramite il preesistente programma App, che ad oggi viaggia a 20 miliardi al mese. Da ottobre 2022 il Consiglio direttivo tornerà ad acquisti netti mensili a 20 miliardi di euro “per tutto il tempo necessario a rinforzare l’impatto accomodante dei tassi” e tali acquisti termineranno “poco prima che la Bce inizi ad alzare i tassi d’interesse”.

Formiche.net ha chiesto un commento a Giorgio Barba Navaretti, economista e docente alla Statale di Milano. “C’è una visione divergente in Europa rispetto a quanto avvenuto e deciso negli Stati Uniti, questo è evidente. La Bce rimane convinta che l’aumento dell’inflazione rimarrà temporaneo, con delle previsioni nettamente diverse. Non dimentichiamoci che l’Europa ha ancora margini di capacità produttiva e occupazione, cosa che invece gli Stati Uniti non hanno. E questo spiega in parte la divergenza”, spiega Navaretti. Il quale precisa un aspetto. “La Bce non pecca di scarso realismo, ha una visione chiara in cui crede e lavora a stabilizzare le aspettative sull’inflazione, con un messaggio di fondo: il surriscaldamento dei prezzi è temporaneo e dipende in larga parte dall’aumento delle materie prime. Solo alla fine, comunque vedremo e capiremo chi tra Fed e Bce aveva ragione”.



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