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Ci vediamo su Zoom? Così si garantisce la segretezza tra Biden e Putin

Quale sistema adotta la Casa Bianca per garantire che nessuno origli le chiamate di Joe Biden? Lo sappiamo anche grazie a una fuga di notizie avvenuta durante l’amministrazione Trump (che parlava proprio con il presidente ucraino). Ecco chi era nella Situation room insieme al Presidente, e che fine fa il video (spoiler: non viene registrato)

“Ci vediamo su Zoom?”. Non è andata così la videochiamata tra Joe Biden e Vladimir Putin. Ma quale sistema usano gli Stati Uniti, e la Russia in questo caso, per garantire la segretezza delle conversazioni tra capi di Stato? Ai servizi segreti di mezzo mondo non dispiacerebbe origliare la chiacchierata di oltre due ore (ma bisogna considerare i rispettivi interpreti) che si è tenuta tra la Situation room della Casa Bianca e lo sfarzoso palazzo di Putin a Sochi sul Mar Nero.

Il New York Times ha chiesto a Emily Horne, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, quale sistema viene adottato per criptare le informazioni che partono da Washington. “Come regola generale non parliamo di misure di sicurezza o della logistica delle chiamate del presidente con i leader mondiali”. Il giornale però è riuscito a ricostruirlo, anche grazie a una fuga di notizie durante la presidenza Trump: la sua conversazione con il presidente ucraino è finita su tutti i media proprio perché in quell’occasione non furono rispettati i protocolli di segretezza.

Ogni Casa Bianca organizza le sue chiamate in modo diverso, dice Michael Daniel della Cyber Threat Alliance ed ex coordinatore della sicurezza informatica nell’amministrazione Obama, e talvolta il protocollo può variare in base all’interlocutore.

Per memorizzare le chiamate con i leader stranieri, si usa il TNet, una rete altamente sicura che si collega al Joint Worldwide Intelligence Communications System, o JWICS, un sistema intranet sicuro gestito dal Dipartimento della Difesa. File più sensibili possono essere memorizzati in un programma ancora più strettamente controllato, chiamato NICE, che sta per N.S.C. Intelligence Collaboration Environment: “Si ha più controllo sui dati che le singole persone possono ottenere a seconda del loro livello di clearance, di autorizzazione”, precisa Daniel.

Le chiamate sono organizzate dal Consiglio di sicurezza nazionale, con il segretario esecutivo del Consiglio che supervisiona tutto. Insieme al presidente, decidono chi sarà presente nella stanza o avrà l’autorizzazione ad ascoltare da remoto.

Larry Pfeiffer, direttore della Situation room durante l’amministrazione Obama, racconta che la Casa Bianca ha una regola non scritta: non registrare le telefonate che si tengono nella Situation room. C’è però una trascrizione, un verbale “su cui si potrà fare affidamento, ma che consente la plausible deniability“, la possibilità per i presenti di dissociarsi da quanto riportato se dovesse diventare di dominio pubblico.

Biden e Putin erano inquadrati in primo piano, dunque non sapevano chi ci fosse accanto all’interlocutore. Dalla foto pubblicata sull’Instagram ufficiale della Casa Bianca, si riconoscono il segretario di Stato Antony Blinken, il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan e il senior director del Consiglio di sicurezza nazionale con delega su Russia e Asia Centrale Eric Green.

La Situation room è dotata di un software che traduce la voce in testo, e uno stenografo usa quel software per stendere un resoconto di quanto viene detto, grazie all’aiuto di un interprete. Oltre a chi verbalizza, c’è anche un esperto del Consiglio di sicurezza nazionale, che esamina il testo ed è in grado di aggiustarlo in base alla singola telefonata: chi è il leader, di quale Paese si tratta, quali sono gli ultimi eventi, quali sono i riferimenti che solo chi conosce da vicino il dossier è in grado di cogliere. Il testo passa poi al Consigliere per la Sicurezza nazionale per una lettura finale.

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