Giovanni Castellaneta, ex ambasciatore italiano a Washington DC, tira le somme del primo anno di Joe Biden alla Casa Bianca. Dalla pagina nera del 6 gennaio al Build back better, una presidenza che parte con grandi aspettative, ma per ora non le rispetta tutte
Un anno in chiaroscuro: sembra un giudizio banale, ma l’inizio di Presidenza Biden è stato effettivamente così. Le aspettative nei confronti dell’ex vice di Barack Obama erano altissime: e si può certo dire che, per certi aspetti, il leader democratico sia stato all’altezza del compito in un anno così difficile per la comunità internazionale alle prese con la pandemia da Covid-19. D’altra parte, non si possono certo nascondere quelle aree in cui la performance di Biden è stata al di sotto di quanto ci si aspettava.
La partenza del ticket Biden/Harris era stata accompagnata da grande entusiasmo, anche per la totale contrapposizione (soprattutto nelle forme e in parte anche nella sostanza) rispetto al predecessore. Il fallimento del clamoroso – quanto maldestro – attacco al Campidoglio aveva spianato la strada a Biden costringendo Donald Trump al silenzio.
In primavera, il lancio dell’ambizioso piano di investimenti strutturali e di sostegno al welfare sembrava poi aver offerto all’amministrazione Biden il vento in poppa, insieme ad una rapida e diffusa campagna vaccinale che sembrava aver traghettato gli Stati Uniti definitivamente fuori dalle “secche” della pandemia. Queste due misure sono state fondamentali per sostenere l’impetuosa ripartenza dell’economia americana, nonostante il problema dell’inflazione che potrebbe creare non pochi grattacapi nel 2022.
Biden si è poi scontrato sulle grandi questioni di politica estera, tanto che si potrebbe dire che è proprio questo l’ambito in cui il presidente democratico ha ottenuto – per il momento – i risultati più deludenti. A partire ovviamente dall’Afghanistan: nonostante il ritiro delle truppe da Kabul sia stata una scelta consapevole, frutto delle nuove priorità internazionali della Casa Bianca, la riconsegna del Paese nelle mani dei Talebani è apparsa come una fuga immotivata, tanto più dopo vent’anni di sforzi militari e costi altissimi in termini di vite umane.
Ma anche sugli altri grandi dossier gli Usa di Biden non hanno offerto una grande prestazione: pensiamo alla relazione con la Cina, con cui le tensioni bilaterali sono aumentate e che potrebbero dare luogo ad una nuova competizione strategica nell’Indo-Pacifico (vedi la nascita della nuova partnership “Aukus” con Australia e Regno Unito); o al pericoloso deterioramento dei rapporti con la Russia, che rischia di trasformare l’Ucraina in un nuovo terreno di scontro tra Mosca e la Nato.
Ha sollevato più di qualche perplessità l’iniziativa di organizzare un “Summit della Democrazia”, che ha escluso/incluso alcuni attori in maniera arbitraria senza peraltro ottenere alcun risultato concreto. Infine, vanno ricordate le incertezze dell’amministrazione americana verso la Turchia e la Libia, nonostante il parziale riequilibrio dei rapporti con Arabia Saudita ed Israele dopo le “avventurose” fughe in avanti di Trump. Certo, per converso le relazioni con l’Unione Europea sono notevolmente migliorate rispetto alla Presidenza Trump: ma si trattava di un risultato “minimo”, considerata la tradizionale forza della partnership transatlantica.
Quali sono dunque le prospettive per l’amministrazione Biden in vista del 2022? Non sarà un anno facile, come testimonia la vita dura che la maggioranza democratica sta trovando in Parlamento. Difficile pensare ad una convergenza di intenti, pur in un momento così delicato come quello che stiamo vivendo, con i Repubblicani: i tempi di Bill Clinton, quando si era riusciti a trovare una base comune per governare, sono ormai lontani e la polarizzazione tra i due partiti è ad oggi insanabile.
Inoltre le elezioni di mid-term sono già dietro l’angolo: se Biden dovesse già avere i numeri “contro” al Congresso e al Senato, si trasformerebbe in una “anatra zoppa” dopo soli due anni. Un’altra incognita è inoltre legata alla sua ricandidatura: al momento Biden ha confermato la sua volontà di ripresentarsi (anche perché un passaggio di consegne dopo un solo mandato sarebbe davvero irrituale), ma la sua età avanzata potrebbe sollevare qualche incertezza sul futuro.
Al di là di tutto, dalla nostra prospettiva italiana ed europea è importante che gli Usa conservino la loro posizione di rilievo in un mondo ormai multipolare: ne abbiamo bisogno per condividere, rafforzare e promuovere i valori delle democrazie liberali. A questo proposito, anche l’Europa dovrà fare la sua parte, iniziando dai Paesi fondatori (con in più la Spagna) anche a scapito dell’unanimità a tutti i costi. Una Ue “a cerchi concentrici”, aperti però ad espandersi, potrà essere più forte nel mondo e anche essere un alleato più valido e solido al fianco degli Stati Uniti.