I leader politici, pressoché tutti, ritenendo questi argomenti poco redditizi per la loro popolarità, li hanno abbandonati da tempo. Senza politiche in controtendenza stiamo programmando il declino italiano, e ben presto ci saranno conseguenze gravi da sopportare. Il commento di Raffaele Bonanni
I dati diffusi dall’Istat giorni fa sulla natalità in Italia, sono ogni volta l’occasione per acclarare che il nostro Paese è coinvolto in un processo veloce di invecchiamento con poche nascite, e che non dispone di sufficiente consapevolezza del degrado in corso e delle conseguenze a medio lungo termine. A chiusura di quest’anno, se dovesse andare bene, si chiuderà il bilancio con 390 mila nati (il dato più basso della nostra storia), mentre i morti si attesteranno a circa 700 mila: in media 4 persone nate e 7 morte.
Questi indici, secondo gli analisti non potranno che divaricarsi ulteriormente, facendoci giungere negli anni 50 di questo secolo alla perdita di otto, dieci milioni di persone in meno rispetto ad oggi, pur contando sull’apporto degli immigrati. Insomma i circa 62 milioni di cittadini italiani pur ottenuti dieci anni fa, resteranno il punto più alto raggiunto che tuttavia perderemo, giacché nel nuovo anno scenderemo ben al di sotto dei 59 milioni dell’anno che si sta concludendo. D’altro canto se il tasso di fertilità si è attestato a 1,17, il più basso tra i paesi europei, tutto si spiega.
Se le cose stanno così, è difficile da capire la disattenzione quasi generale della politica e dei governi rispetto a questioni così vitali e condizionanti per il futuro prossimo degli italiani. Si dà per ineluttabile la convinzione che fanno ritenere la nostra Terra sovrappopolata, che la crescita del benessere e dei costumi di vita mal si conciliano con l’impegno genitoriale, dell’oggettiva difficoltà dei genitori, ed in particolare della donna, di conciliare l’impegno del lavoro con quello della famiglia.
I leader politici, pressoché tutti, ritenendo questi argomenti poco redditizi per la loro popolarità, li hanno abbandonati da tempo ed al massimo, come è accaduto per la legge di bilancio, si preferiscono politiche familiari come l’assegno unico ed universale, ma facendo scomparire completamente le detrazioni fiscali per i figli a carico, dunque allontanandosi ancor più dalle politiche pro natalità. Senza politiche in controtendenza stiamo programmando il declino italiano, e ben presto ci saranno conseguenze gravi da sopportare.
Ad esempio: la riduzione del patrimonio umano procurerà danni alla competitività italiana nelle produzioni di beni e servizi; si ridurrà il valore del patrimonio immobiliare privato nel mercato a causa della domanda ridotta; i costi diventeranno maggiori per il funzionamento delle infrastrutture e servizi pubblici a causa della sfavorevole economia di scala; si avranno alti deficit di bilancio per protezione sociale a causa di masse ridotte di lavoratori che verseranno contributi rispetto agli anziani in forte crescita.
La crisi demografica ci obbliga a rimettere in fila le priorità del Paese, ed ai primissimi posti della graduatoria del Pnrr dovranno esserci strutture in grado di rassicurare le giovani coppie sugli asili nido ed asili ed asili per l’infanzia per superare la carenza imperdonabile di questi servizi. La riforma dei congedi parentali può diventare la spinta per rendere più agevole conciliare il lavoro con gli obblighi della genitorialità, cosi come un importante incentivo al reddito delle lavoratrici madri del 30% in più per il primo figlio, ed ancora più per il secondo ed il terzo figlio. Questi obiettivi minimali di investimento a sostegno delle nascite possono essere una svolta culturale e pratica per cambiare. Un modo per rimettere in graduatoria le necessità più impellenti e far in modo che si mettano in pratica soluzioni rapide ed adeguate.