Il gigante dell’immobiliare ha mancato l’ennesimo pagamento ai creditori, riducendo le proprie azioni a carta straccia. Fitch oggi l’ha dichiarata ufficialmente in default. E pensare che era stato accantonato del capitale e che la Banca centrale cinese ha liberato liquidi per il mattone
Pechino non vuole il fallimento di Evergrande. Solo che, a leggere in controluce l’ennesimo e, forse, definitivo avvitamento della crisi del gigante del mattone schiacciato da 305 miliardi di debiti e con le azioni ormai ridotte a carta straccia (-20% lo scorso martedì), c’è da porsi qualche domanda. Per esempio, sono mesi che quella che per molti è la Lehman Brothers di Cina, tenta di rassicurare risparmiatori e investitori, imbufaliti è dire poco dopo l’ennesimo flop su cedole per 82 milioni di dollari.
Eppure è successo poco o nulla e la musica non è cambiata. Addirittura, come ha scritto il Financial Times, lo stesso gruppo immobiliare avrebbe accantonato del capitale per fronteggiare i pagamenti. Mossa che, almeno per il momento, non ha prodotto nulla di buono. Di più. Evergrande ha da poco annunciato di aver messo in piedi un comitato per la gestione dei rischi, di raccordo con i funzionari statali per aiutare a “mitigare ed eliminare i rischi futuri”. E questo dopo che nel weekend aveva fatto sapere di aver ricevuto sollecitazioni di pagamento per 260 milioni di dollari da parte dei creditori e che non poteva garantire fondi adeguati.
Insomma, c’è grande confusione. Anche perché qualcuno comincia a perdere la pazienza e seriamente. Fitch stamattina ha dichiarato la società ufficialmente in default dopo il mancato pagamento delle ultime cedole in dollari. La società ha decretato l’ennesimo downgrade a livello ‘RD’ (Restricted Default), dal precedente (e sconfortante) ‘C’.
Assieme alla società principale è stato tagliato il rating delle controllate Hengda Real Estate e Tianji Holding Limited, coinvolte nell’emissione dei bond non rimborsati, uno da 645 milioni di dollari, con cedola al 13%, e un altro da 590 milioni, con cedola al 13,75%. Fitch ha posto a RR6 – e cioè assai vicino allo zero – il livello di possibile recupero dei debiti maturati, scrive l’Adnkronos.
Mentre Standard&Poor’s parla di default “inevitabile”, secondo l’Associated Press un bondholder del colosso cinese, Financial Market Partners Capital (Fmpc) Consulting AG con sede nel Liechtenstein e con la consulenza tecnica di Msa Deutsche MarktScreening Agentur, starebbe preparando un’istanza di insolvenza contro Evergrande.
Potrebbe essere il primo atto di una valanga di altre richieste, che metterebbe all’angolo il gruppo, costringendolo a portare i libri in tribunale. Un default di tali proporzioni attiverebbe fallimenti incrociati su tutti i 19 miliardi di dollari di obbligazioni del gruppo nei mercati finanziari internazionali (ma il debito supera i 300 miliardi, inclusa l’esposizione con le banche) e metterebbe Evergrande a rischio di diventare il più grande gruppo insolvente della Cina, con un effetto domino notevole sugli altri settori.
Ma a Pechino non c’è aria di resa, non ancora almeno. Tanto per cominciare, la Banca centrale cinese, la Pboc, ha tagliato le riserve obbligatorie delle banche dello 0,5% per liberare liquidità e reggere il sistema immobiliare e tecnologico. E poi, a stretto giro, il presidente della Pboc, Yi Gang ha fatto sapere che “i diritti di azionisti e creditori di Evergrande, colosso cinese che ha come maggior business lo sviluppo immobiliare, saranno pienamente rispettati nell’ordine del loro risarcimento legale”. Calma e sangue freddo, dunque.
Peccato che lo scorso 3 dicembre Evergrande aveva ufficialmente ammesso per la prima volta in una dichiarazione alla Borsa di Hong Kong, dove è scambiata a 1,7 dollari ad azione, che non vi è “alcuna garanzia che il gruppo disporrà di fondi sufficienti per continuare a far fronte ai propri obblighi finanziari”. Questa sì, che suona come una resa.