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Pechino si rafforza. Navi da guerra a Pakistan e Thailandia

Nell’Indo Pacifico la partita è marittima, e la Cina intende saldare legami attraverso armamenti strategici e integrazione con la Belt and Road. Pakistan e Thailandia sono fondamentali per accrescere l’influenza nella regione e bypassare l’India nei corridoi commerciali

Una per rafforzare direttamente la Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione Cinese, altre due per esercitare forme di influenza, attraverso il mercato degli armamenti, su due partner importanti nell’Indo Pacifico: Thailandia e Pakistan. In questi giorni Pechino ha contemporaneamente messo in acqua tre navi da guerra dimostrando sia capacità tecniche, sia intenzioni strategiche.

La Cina continua i suoi grandi progetti di costruzione navale consapevole che la partita indo-pacifica su cui è chiamata a giocare (di forza) dagli Stati Uniti è una questione di geopolitica marittima, e per questo – per l’importanza di quelle rotte strategiche – ha dovuto iniziare a spostare la propria concentrazione dalla terra al mare.

Le tre navi da guerra varate questa settimana, con le consegne al Pakistan e alla Thailandia, confermano questo genere di impegno e seguono una scia non nuova. Il Partito/Stato sta spingendo il rafforzamento delle forze marittime (e delle unità anfibie collegate) e contemporaneamente sta cercando di vendere armamenti di valore per consolidare le partnership – davanti a un’operazione di consolidamento delle relazioni con alleati e partner che è il centro della strategia americana nell’Indo Pacifico.

Secondo Naval News, il cantiere navale cinese Hudong Zhonghua, situato vicino a Shanghai, ha varato due fregate “Type 054” e un landing platform dock (LPD) “Type 071E” nel giro di tre giorni consecutivi, trasferendo una fregata alla Marina cinese, un’altra ai pakistani (che complici anche gli investimenti connessi al Corridoio con cui la Belt and Road Initiative sfocia nell’Indiano stanno diventando sempre più un satellite pechinese) e infine la LPD fornita alla Royal Thai Navy.

Stante alle informazioni disponibili, la fregata Type 054A è la 34esima nave di quella classe in dotazione alle forze navali cinesi; la fregata è invece la quarta ordinata da Islamabad a Pechino (la nave è l’ultima di una commessa la cui prima è stata varata nell’agosto 2020 dopo solo 14 mesi di cantierizzazione); la Type 071E è la prima e finora unica nave del genere per i tailandesi.

Le Type 054A sono fregate multiruolo riconosciute come la spina dorsale della flotta di assetti da guerra di superficie della Marina cinese, con 30 navi di quel tipo in servizio. Hanno una lunghezza di 134 metri per un dislocamento di 4000 tonnellate, equipaggio di 165 marinai.

Le Type 071 sono invece navi da assalto anfibio: lunghe 210 metri e larghe 28, con un dislocamento a pieno carico di 25000 tonnellate, riescono a caricare 800 marines e 20 mezzi di assalto. Bangkok ha pagato 200 milioni di dollari per averla, un modo per rafforzare la propria flotta in un momento in cui nel bacino è in corso una militarizzazione. Per la Cina il rapporto con la Thailandia ha assunto un valore ulteriore nell’ultimo periodo.

Pechino ha dato sostegno al governo, finito sotto pressione per le proteste del  movimento pro-democrazia e la crisi economica provocata dalla pandemia. Una scelta con cui, come spesso accade quando sono in ballo interessi strategici cinesi, il Partito/Stato ha oltrepassato la norma etico-morale – e soprattutto narrativa – basata sul non voler interferire negli affari interni di altri Paesi.

Nel caso, la Thailandia rappresenta anche uno dei vari esempi con cui Pechino vuole portare avanti lo scontro tra modelli con Washington. La Cina ha promesso nel 2020, in piena pandemia, che avrebbe aumentato gli investimenti per integrare il Corridoio economico orientale (Eec), un’area economica speciale creata da Bangkok nel 2017, con la Belt and Road. In previsione anche il collegamento dell’Eec con la Greater Bay Area che comprende Hong Kong, Macao e Guangdong.

Il Partito/Stato mira a dare queste opportunità a Bangkok perché pensa soprattutto alla costruzione dell’alta velocità che tramite il Laos dovrebbe collegare lo Yunnan alla capitale thailandese. In quel tratto ferroviario sta tutto il valore strategico per cui la Cina cerca di tenere a sé la Thailandia: la ferrovia potrebbe permettere alle merci cinesi di bypassare lo Stretto di Malacca, punto talassocratico a controllo indiano, collo di bottiglia problematico nell’Indo Pacifico.

Dall’altra parte, le basi aeree thailandesi sono un appoggio logistico per la strategia statunitense di contenimento della Cina. Washington davanti all’esposizione cinese di Bangkok lo scorso anno ha usato toni morbidi con le manifestazioni anti-governative Thai, quasi a mandare un messaggio di precarietà al governo locale. Dall’altra parte Pechino si è messa sul lato opposto, sostenendolo (con una mossa in parte singolare).



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