Addio sogni di gloria (quirinale). Corteggiata da tutti i leader avversari durante la più ecumenica versione della kermesse Atreju, la leader di Fdi Giorgia Meloni rompe l’incantesimo. Al Quirinale ci va un patriota. Attacchi a Draghi, Pd e M5S. E su Salvini…
È durato un attimo, il tempo di una kermesse. C’è chi l’ha chiamata terza Camera, chi il nuovo salotto della politica italiana. Di questa reputazione si è vantata finora l’ultima edizione di Atreju, il festival di Fratelli d’Italia che ogni anno chiama a raccolta la destra tricolore, questa volta tra stand e mercatini del “Natale dei conservatori” a Piazza Risorgimento, vista San Pietro.
È durato qualche giorno, finché Giorgia Meloni non è salita sul palco per l’intervento di chiusura. “La pacchia è finita”. Altro che orchestra e unità. Al Quirinale ci deve andare “un patriota”. “Nelle prossime elezioni del Quirinale il centrodestra ha i numeri per essere determinante e noi vogliamo un presidente eletto per fare gli interessi nazionali e non del Pd. Non accetteremo compromessi”.
Cala così il sipario sulla destra ecumenica, dialogante, perfino un po’ governativa che aveva fatto capolino in questa strana edizione di Atreju. Si mettano l’anima in pace Enrico Letta, Giuseppe Conte e compagnia, è il messaggio che parte dal raduno conservatore. Giorgia Meloni non scende a compromessi. E lo ricorda a scanso di equivoci arringando il tendone sovranista con una sfilza di stilettate a chi pure nei giorni scorsi si era presentato con in mano un ramoscello d’ulivo.
“Il Pd cerca un presidente della Repubblica che sia gradito ai francesi, io rimango di sasso ma tragicamente non mi stupisce, perché la sinistra ha fatto il procacciatore degli interessi per il governo francese in maniera tragicamente palese”. Ce n’è per tutti, anche per Palazzo Chigi, “ufficio stampa dell’Eliseo”, e per il suo timoniere Mario Draghi, che solo un mese fa Meloni immaginava candidato al Colle. “Ci hanno detto che sarebbero piovuti miliardi dall’Europa ma hanno mentito”. Poi rincara: “Allora presidente Draghi, lei è stato incaricato per portare a terra il Pnrr ma segnalo che siete già in ritardo: queste risorse sono molte ma sono a debito e non possiamo permetterci di continuare a indebitare i nostri figli per soldi che non arrivano in tempo dove dovevano arrivate o per farli gestire da stranieri”.
Doccia fredda per chi, in processione, era salito sul palco nei giorni scorsi a “flirtare” con la leader-in-pectore della destra italiana in vista della battaglia più difficile, fra un mese. Letta aveva perfino strappato qualche applauso quando aveva ammesso che “sarebbe bene che il nuovo presidente venisse eletto con un largo consenso” e soprattutto che “se ci fosse anche l’opposizione sarebbe una cosa molto positiva”. Conte ha riconosciuto alla condottiera di Fdi il ruolo di leader della coalizione, Luigi Di Maio l’ha definita “affidabile”, Matteo Renzi ha incoronato il centrodestra come “kingmaker” della partita per il Colle.
Difficile immaginare un palco più conciliante. È nella tradizione di Atreju cedere il microfono anche ai più acerrimi avversari politici, negli anni scorsi più d’uno ha incassato il plauso del pubblico sovranista. E però quest’anno il programma aveva qualcosa di più. Niente Steve Bannon, niente Viktor Orban e crociati anti-Ue. Tanto da dare l’impressione di un partito all’opposizione – l’unico – più determinante e presente nelle dinamiche di governo di chi, come la Lega, c’è dentro da cima a fondo.
In mezz’ora, di domenica mattina, si è rotto l’incantesimo. La Meloni è un fiume in piena. Non risparmia nessuno, neanche fra i suoi nuovi corteggiatori. Conte, ad esempio, “non avrebbe fatto il capo del governo con l’elezione diretta”. Letta e il Pd sono “lì senza mai aver vinto le elezioni”. Apre alla candidatura di Silvio Berlusconi, ma senza convinzione, “non è una candidatura di bandiera”.
Non è dato sapere con certezza le ragioni di questa rivendicazione identitaria che interrompe bruscamente i flirt degli altri partiti. Chissà che non c’entri qualcosa la contro-mossa di Salvini, che di sua iniziativa ha annunciato sabato “un tavolo sul Quirinale”, “chiamerò tutti i leader”. “Non lo sapevo”, dice Meloni ai cronisti scesa dal palco, “mi sembra una buona iniziativa”. Ma passano pochi minuti prima di un nuovo chiarimento, questa volta nello studio di Lucia Annunziata a Mezz’Ora in Più: “Non ho bisogno di essere istituzionalizzata. Le patenti le danno gli italiani”. Si riparte dal via, ancora una volta. In una partita a scacchi dove chi si muove rischia molto di più di chi rimane immobile.