Il Covid è stato (ed è) peggio di un terremoto: così come quando si deve ricostruire un territorio si deve far ricorso a un commissario per l’emergenza, così ci si dovrebbe poter affidare a strutture commissariali, che peraltro hanno già dato ottime prove di sé, come quella del generale Francesco Paolo Figliuolo per il piano vaccinale
Chi ha paura dei commissari? Le opportunità del Pnrr e la sostenibilità finanziaria dei bilanci degli enti locali dovranno camminare insieme. Ci riusciranno senza un guardiano sciolto dai vincoli ordinari? Il dubbio è più che legittimo, e non riguarda solo le inefficienze comprovate delle Regioni, che da anni non riescono a spendere i denari dei fondi strutturali europei. La questione incrocia gran parte degli enti locali, a partire dai Comuni, che si sono visti intestare 40 miliardi circa del totale delle risorse previste dal Recovery Plan.
Fin dal giorno dopo la stesura del Piano, furono in molti a sussurrare che molte cifre avrebbero potuto restare solo sulla carta. Un esempio: gli asili nido. I 4,6 miliardi previsti per moltiplicare le strutture di sostegno per la prima infanzia sono richiesti dal Governo, ma dovranno essere spesi dai Comuni che hanno la competenza sul capitolo. Ce la faranno a sopportare in bilancio una nuova e cospicua iniezione di investimenti, senza dover provvedere ad altri tagli per rispettare le norme di stabilità finanziaria? E riusciranno a definire i progetti con dotazioni organiche dimagrite del 20% in media negli ultimi dieci anni per il blocco del turn over?
È lodevole l’impegno del ministro Renato Brunetta per sbloccare nuove assunzioni, nella Pubblica amministrazione centrale così come in quella locale, ma non è difficile prevedere che questo nuovo capitale umano riuscirà a dispiegare i suoi effetti sulla seconda parte del periodo deputato alla gestione dei fondi del Pnrr. I nuovi assunti – dovrebbe esserci un esercito di 15mila nuovi assunti, se poi verranno davvero assunti – riusciranno a entrare in partita prima che i giochi siano conclusi?
Nei giorni scorsi il ministro Enrico Giovannini ha promesso che la sua struttura sarà disponibile per assicurare un’adeguata formazione alle risorse impegnate sul territorio, per definire i progetti e quindi per poter incassare i contributi promessi. Ma forse non è il tempo della Dad (didattica a distanza), nemmeno per i funzionari dell’Amministrazione pubblica. Forse servirebbe, una tantum, un processo di ragionevole centralizzazione delle decisioni: un Piano nazionale – come indicano le prime due lettere dell’acronimo Pnrr – dovrebbe poter essere nazionale nella sua organizzazione e nella sua gestione. Serve una visione che non può finire per arenarsi nelle diversità territoriali e amministrative.
Il Paese è uno e uno deve ritrovarsi per gestire quella che tutti indicano come una sfida epocale per ripartire. Vale per il commissariamento di molte grandi opere – a proposito, che fine hanno fatto i commissari nominati? Che tipo di intervento e di cambio di passo hanno prodotto? – dovrebbe valere per la gestione di molte partite, sulla carta intestate agli enti locali, ma che dovrebbero essere fortemente coordinate a livello centrale.
Il pericolo, tutt’altro che teorico, è che nel 2026 saremo pronti per fare tutto, ma sarà scaduto il tempo per farlo. È un po’ quello che sta accadendo nella scuola, piombata nella pandemia degli under 12. Ci sono i fondi per gli impianti di aerazione, ma si finisce solo per tenere aperte le finestre, anche in pieno autunno e nell’incipiente inverno. Il Decreto ripartizione che aveva assegnato 350 milioni di euro alle scuole prevedeva l’acquisto di “strumenti per l’aerazione”, ma tale destinazione d’uso non è specificata nel Disegno di Legge 73/2021 che fa riferimento solo a interventi di piccola manutenzione. Il nodo della questione è uno: i soldi messi a disposizione non sono sufficienti per attrezzare tutte le sezioni di mezzi di purificazione dell’aria. E poi non ci sono i soldi per assicurare la manutenzione e la bolletta energetica per tenerli in funzione.
E allora: finestre aperte. Con tanto di reportistica che dimostra l’efficacia dell’aria che si ricambia in modo naturale, rispetto a quella forzata. Peccato che questo imponga il cappotto e il berretto di lana.
Peccato che nel Pnrr non vi sia traccia della necessità di pianificare una completa opera di installazione di impianti di ventilazione, con investimenti certi e generosi. Quindi si procede in ordine sparso (qualche sperimentazione in Emilia-Romagna e nelle Marche, che sono riuscite a impegnare fondi strutturali europei), affidandosi a improvvisazioni rudimentali.
Nelle fasi di emergenza ci si aspetta una risposta unica e coordinata su tutto il territorio nazionale. Ci si auspica che i meno efficienti vengano “costretti” a marciare più forte, senza adeguarsi alla legge del convoglio, che deve camminare con la velocità del più lento.
Così come le operazioni di spending review predisposte dal governo Monti fecero dolorosamente il loro corso – in quel caso la colpa fu di non interrompere in tempo utile l’austerità, per ridare fiato a una ripresa latitante – anche a livello locale; anche oggi è forse lecito auspicare una centralizzazione momentanea di molti interventi, giusto il tempo per ridare fiato e ossigeno alla ripartenza. Chi ha paura dei commissari? Il Covid è stato (ed è) peggio di un terremoto: così come quando si deve ricostruire un territorio si deve far ricorso a un commissario per l’emergenza, così ci si dovrebbe poter affidare a strutture commissariali, che peraltro hanno già dato ottime prove di sé, come quella del generale Francesco Paolo Figliuolo per il piano vaccinale.