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Importazioni dallo Xinjiang vietate. Biden indica la via ma l’Ue frena

Pechino contro la nuova legge sui prodotti del lavoro forzato che ha spinto Intel a scusarsi con i fornitori. Gli attivisti sperano che altri Paesi seguiranno gli Usa ma Dombrovskis predica cautela: la Commissione europea teme ripercussioni dalla Cina

Il divieto alle importazioni dalla regione dello Xinjiang, in cui il governo cinese attua contro la minoranza turcofona e musulmana degli uiguri politiche di “genocidio” secondo gli Stati Uniti e alcuni loro alleati, è legge degli Stati Uniti. Il presidente Joe Biden ha firmato la legge ringraziando “per la loro leadership” Nancy Pelosi, speaker della Camera, Chuck Schumer, leader della maggioranza al Senato, il deputato Jim McGovern e i senatori Jeff Merkley e Marco Rubio, che negli ultimi anni hanno ricoperto ruoli di vertice nella commissione bicamerale sulla Cina.

LA NUOVA LEGGE

La nuova legge è passata in entrambe le camere del Congresso all’inizio di questo mese con un consenso altamente bipartisan (unico a votare contro è stato il deputato repubblicano Thomas Massie, che nel 2019 aveva detto no anche all’Hong Kong Human Rights and Democracy Act). Impone sanzioni ai responsabili del lavoro forzato nella regione e vieta le importazioni a meno che gli Stati Uniti non stabiliscano con “prove chiare e convincenti” che non sono stati effettuati con il lavoro forzato.

LA REAZIONE DI PECHINO

Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Esteri cinese ha contestato fermamente l’approvazione della legge, definita “una violazione dell’etica commerciale” e uno strumento d’ingerenza negli affari interni di Pechino. Nel mirino della Cina, che anche in questo caso sfrutta le difficoltà delle democrazie tra mercato e sicurezza, c’è l’inversione dell’onere probatorio. Quello che gli Stati Uniti stanno facendo “è contenere lo sviluppo economico della Cina con il pretesto dei diritti umani” ma “le vicende legate allo Xinjiang non hanno nulla a che vedere con le violazioni allo stato di diritto. Ciò che viene portato avanti nello Xinjiang è la lotta al terrorismo e al separatismo”, ha proseguito Zhao, accusando gli Stati Uniti di fabbricare menzogne e gettare discredito sul Paese. Il portavoce ha infine suggerito a Washington di riservare le accuse di “genocidio” e “lavoro forzato” alla propria amministrazione, esortando invitando a rivedere “immediatamente” il blocco.

LE DIFFICOLTÀ DI INTEL

Nei giorni scorsi, dopo l’approvazione della legge da parte della Camera dei rappresentanti, il colosso tecnologico statunitense Intel si era scusato con clienti e partner cinesi per aver annunciato un boicottaggio di prodotti e manodopera dalla Xinjiang. In precedenza, l’azienda aveva scritto ai propri fornitori annunciato di voler affrancare la propria catena di approvvigionamento dai prodotti della regione cinese, adempiendo alla legislazione statunitense in materia. La ritrattazione è arrivata con una dichiarazione in lingua cinese sulla piattaforma WeChat, in cui Intel ha espresso l’intenzione di “diventare un partner tecnologico affidabile e ad accelerare lo sviluppo congiunto con la Cina”.

Il caso Intel rappresenta “l’ultimo esempio di aziende multinazionali prese in mezzo mentre i governi occidentali fanno pressione sulle aziende per sganciare le loro catene di approvvigionamento dallo Xinjiang”, ha osservato il Wall Street Journal. “Quelli che si sono scusati con i consumatori cinesi, nel frattempo, rischiano un contraccolpo da parte della politica e dei consumatori in patria”.

LA SPERANZA PER GLI ATTIVISTI

Gli attivisti per i diritti umani, scrive Axios.com, credono che la normativa legge imporrà i primi veri costi sostanziali al governo cinese per le sue atrocità nello Xinjiang. Inoltre, potrebbe costituire un precedente per altri Paesi che seguiranno l’esempio.

L’UNIONE EUROPEA FRENA

Arriva dalle colonne del Financial Times la prima doccia fredda per gli attivisti. Il quotidiano economico ha rivelato una lettera inviata dal vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis, tra i più attivi nel proteggere l’Unione dalle pratiche commerciali sleali, agli europarlamentari: vietare le importazioni “non impedirebbe automaticamente a quei prodotti di essere prodotti con lavoro forzato, quindi il problema in sé non sparirà”, si legge.

La presidente Ursula von der Leyen aveva annunciato a settembre una nuova legge per porre un “divieto sui prodotti nel nostro mercato che sono stati fatti con lavoro forzato”. Ma ci vorrà più di un anno per scriverla, ha avvertito il suo vice. Le sue parole, ha sottolineato il Financial Times, sembrano confermare “che Bruxelles si sta allontanando dai divieti di importazione espliciti, per paura che siano visti come misure commerciali discriminatorie”.



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