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Quel saluto sospeso di Draghi a Palazzo Chigi

Nella tradizionale conferenza stampa di fine anno con i giornalisti il premier apre uno spiraglio per il Quirinale. Il discorso ha il tono del congedo, il destino del governo è nelle mani del Parlamento, rassicurazioni ai mercati. Ma le partite in sospeso rimangono tante, troppe

“I miei destini personali non contano niente. Sono solo un uomo, anzi un nonno al servizio delle istituzioni”. Mario Draghi si presenta così, senza veli, di fronte al plotone della stampa nella tradizionale conferenza di fine anno. Il premier non ha “aspirazioni personali” per il Colle, garantisce all’Auditorium Antonianum di Roma, dove lo spettro della partita per il Quirinale aleggia di continuo.

Invitato dall’Associazione stampa parlamentare e dall’Ordine dei giornalisti, Draghi tira le fila di dieci mesi a Palazzo Chigi. È un bilancio che suona, se non come un addio, come un arrivederci. Inizia con un altro “whatever it takes”: “Il governo è pronto a sostenere l’economia in caso di rallentamento”. L’Europa ascolta, i mercati anche. Spaventa l’onda d’urto di Omicron, la variante del Covid che “apre una nuova fase della pandemia”. Spaventa l’incertezza sul futuro del governo, fotografata in quello spread Btp-Bund che martedì ha chiuso in rialzo a 131 punti.

Draghi rassicura, puntella. “Abbiamo fatto bene quest’anno. Non c’è ragione di temere che si possa fare bene in futuro”. Il pallino, chiarisce l’ex capo della Bce, non è a Palazzo Chigi e neanche al Quirinale. “La responsabilità quotidiana dell’azione di governo è nelle mani del Parlamento. E al Parlamento spetta decidere la sua prosecuzione”. Tra siparietti e smentite il premier cerca di spiegare che la partita per il destino del Quirinale non può ridursi a un gioco di personalismi. Ma lascia intendere che nessuna opzione è esclusa dal tavolo, tantomeno la sua. A due mesi dal raduno dei grandi elettori a Montecitorio d’altronde non c’è l’ombra di una soluzione.

Dall’affanno dei partiti, divisi anche all’interno delle rispettive coalizioni, non è uscito un nome per il successore di Sergio Mattarella. Con il rischio sempre più concreto che lo spirito unitario dettato dall’emergenza si infranga nei tatticismi d’aula, preparati nei caminetti prenatalizi dei partiti, come quello andato in scena martedì a casa del ministro Roberto Speranza insieme ai leader del Movimento 5 Stelle e del Pd Giuseppe Conte ed Enrico Letta.

Draghi non si scompone, parla tra le righe. Rivendica l’azione di governo, non manca di ringraziare la maggioranza, la più ampia della storia repubblicana. Richiama quello “spirito unitario” già sottolineato in un discorso di congedo alle alte cariche dello Stato da Mattarella, quando ha parlato di “unità di intenti e di sforzi” e di una “nuova stagione dei doveri”.

Una stagione che è tutt’altro che chiusa. Il premier lo sa, non ne fa mistero. Se la prima campagna vaccinale è stata completata con successo – oggi l’80% degli italiani ha ricevuto almeno una dose ­– va a rilento la somministrazione delle terze dosi, fondamentali per frenare l’aggressività di Omicron. C’è “una normalità raggiunta” da difendere, dice il premier, a partire dalle scuole ancora fiaccate dalla Dad. Poi le partite economiche e industriali in sospeso. Tim, Mps, il fisco e il braccio di ferro con i sindacati. In Europa, una riforma del Patto di stabilità che deciderà il ritorno o meno alle vecchie regole di austerità in cui l’Italia, promette Draghi, “farà sentire la propria voce”, insieme al nuovo asse con la Francia di Emmanuel Macron e la Germania del neocancelliere Olaf Scholz.

Difficile che un trasloco di Draghi da Palazzo Chigi non abbia un impatto. È questa la verità non detta che resta all’origine dello stallo quirinalizio, e fa tenere il fiato sospeso nelle cancellerie europee. Lascia in penombra l’identikit del prossimo Capo dello Stato. Draghi si smarca così dal fuoco di fila dei cronisti. Il “modello” ideale di presidente della Repubblica è Mattarella, “ha svolto splendidamente il suo ruolo, con lucidità e saggezza”.



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