Il Women20 di Roma è il primo summit a impatto zero, grazie al monitoraggio delle emissioni di CO2. La lotta per cambiare i divari di genere va di pari passo con l’altra grande sfida: il cambiamento climatico. L’obiettivo, in entrambi i casi, è un sistema economico e sociale più sostenibile e più inclusivo
Il legame tra sostenibilità ambientale e questione di genere non è semplicemente stretto, ma ha una base comune: il fallimento di un sistema economico, produttivo, sociale, che si basa su una idea di mondo maschile. Lo crede, e lo afferma con forza, Linda Laura Sabbadini, Chair Women20, gruppo di lavoro nato nel 2014 a latere del G20 e che negli anni ha continuato a elaborare proposte, di presidenza in presidenza, così come nell’anno della presidenza italiana. Un momento di sintesi tra proposte ed esperienza si è tenuto questa mattina nel corso dell’evento “Environmental sustainability challenges from a gender perspective”, in cui si sono confrontate esperte, attiviste e istituzioni.
Si parte da una presa di coscienza, allora, sottolineata da Elvira Marasco, delegata del W20 e responsabile delle relazioni esterne ed istituzionali di AIDDA (Associazione Imprenditrici Donne Dirigenti d’Azienda): la generazione alla quale appartiene è quella che, sui temi della sostenibilità, deve stare a guardare e imparare, perché ha sulle spalle la responsabilità di un mondo non sostenibile, quello che oggi si cerca di modificare in funzione di una tutela maggiore della terra. Ma come farlo da una prospettiva ampia e inclusiva?
Ne ha parlato la vicepresidente della Camera dei deputati Maria Edera Spadoni nel suo intervento, sottolineando quanto “gli sforzi per introdurre una prospettiva di genere nei cambiamenti climatici e nella salute globale devono essere basati sull’evidenza. Ricercatori e politici dovrebbero essere in grado di affrontare le questioni di genere e di creare una partecipazione equa tra donne e uomini”. È infatti chiaro, ha proseguito Spadoni, che l’impatto del cambiamento climatico sulle popolazioni di tutti i Paesi ricade poi in gran parte sulle donne che, in situazioni di povertà corrono rischi ancora maggiori. “La differente partecipazione delle donne nei processi decisionali e nel mercato del lavoro aggrava le disuguaglianze e spesso impedisce alle donne di contribuire pienamente alla definizione delle politiche, all’attuazione e alla pianificazione in materia di clima”.
Insomma, niente di nuovo: maggiore accesso, maggiore partecipazione, ma non solo. Clara De La Torre, direttrice generale aggiunta della Direzione generale per l’azione per il clima della Commissione europea, ha spiegato che ruolo hanno le tematiche di genere nelle politiche sulla sostenibilità dell’Unione europea. L’obiettivo europeo è ambizioso, ha sottolineato De La Torre, quello di diventare climaticamente neutrale nel 2050 come stabilito dal Green Deal, un obiettivo che richiede la trasformazione della società e dell’economia. Non si può, quindi, non guardare al mercato del lavoro che subirà enormi trasformazioni: alcuni lavori nasceranno, altri si avvieranno alla scomparsa e verranno rimpiazzati da quelli nuovi. Ad essere chiave in questo momento di transizione saranno i lavori derivanti dalle discipline Stem (science, technology, engineering and mathematics), discipline in cui le donne sono ancora fortemente sottorappresentate. Questo, chiaramente, ha aggiunto De La Torre, si tradurrà in minore accesso ai nuovi lavori altamente professionalizzati. Questo, allora, è un esempio molto chiaro del doppio beneficio che lega una maggiore uguaglianza di genere con una maggiore sostenibilità ambientale: ridurre il gender gap nelle discipline Stem potrebbe aiutare in generale i vuoti nel mercato del lavoro nella transizione verde e allo stesso tempo aumentare l’occupazione e la produttività femminile.
Janet Kabeberi Macharia, a capo dell’unità di salvaguardia sociale e di genere dell’Unep (programma delle Nazioni Unite per l’ambiente), ha chiarito come l’impatto del cambiamento climatico, dell’inquinamento e della perdita di biodiversità colpisce in modo diverso a seconda del genere. Queste tre crisi colpiscono tutta la popolazione, ma hanno un impatto maggiore sulle donne, che ricoprono ruoli centrali sia nella produzione di cibo che nella ricerca di risorse acquifere, soprattutto nei Paesi in cui il cambiamento climatico colpisce più fortemente popolazioni già indebolite nella conservazione di risorse primarie. Perché le donne sono più colpite? Perché maggiore è la scarsità delle risorse, maggiori sono i rischi nel cercare di conservarle per le proprie comunità.
È solo con una maggiore inclusione delle donne nei ruoli decisionali che si può uscire dalle diverse crisi che la sfida della transizione ecologica porta con sé. Lo hanno sottolineato Giulia Maci, Urban specialist, Cities for Women Program, Rosi Sgaravati, presidente di Assoverde, Sveva Avveduto, presidente CNR-GETA GEnder&TAlents, Monica Frassoni, presidente dell’Alleanza europea per il risparmio energetico (EUASE).
Un cambiamento in questi due ambiti non può che beneficiare entrambe le metà del cielo, ha sottolineato nel suo intervento conclusivo Linda Laura Sabbadini, e intervenire è indispensabile se si vuole evitare il collasso del pianeta e della nostra società. Il concetto di cura, ha sottolineato la statistica italiana nota in particolare come pioniera europea delle statistiche per gli studi di genere, non deve essere più connotato solo al femminile. La responsabilità della cura di ciò che ci circonda, esseri umani e pianeta, deve essere di tutti.
E se dal panel sono emerse le azioni con cui portare avanti la doppia lotta al gender gap e al cambiamento climatico, è con la scelta di un evento a totale impatto zero che si è mostrato quanto mettendo assieme competenze e tecnologie sia possibile muoversi nel mondo senza avere un impatto negativo: è attualmente il monitoraggio e calcolo delle emissioni di CO2, che verranno poi compensate con la piantumazione di alcuni alberi da parte del Gruppo Sgaravatti.