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Il papa delle periferie arriva a Cipro, crocevia del Mediterraneo orientale

Il papa che nel 2016 aveva condotto in salvo dallo spettrale campo di Moira tre famiglie di dodici musulmani, si ripeterà anche questa volta? Da Cipro dicono di sì. E che l’epicentro della crisi corrente sia molto più a nord non conta, perché quelle persone originano da questa parte del mondo, e perché questo viaggio in terre prevalentemente ortodosse, porta chiaramente un messaggio di dialogo e apertura

Un giornalista francese che ha capito alla perfezione che viaggio stia per intraprendere Francesco, appena lo ha visto salire a bordo del volo che lo porterà a Cipro gli ha consegnato un frammento di una delle tende dove vivono i rifugiati di Calais. Il papa lo tocca visibilmente scosso. Il viaggio a Cipro e in Grecia è cominciato così. È cominciato cioè come si era conclusa la sua partenza da Casa Santa Marta, quando ha salutato dei rifugiati che vivono in Italia, alcuni dei quali grazie a lui, che li aveva portati con sé dall’isola da dove l’Europa non li faceva muovere, cioè dal campo profughi recintato con il filo spinato, il campo di Moira, a Lesbo, dove tornerà prima di concludere questo nuovo pellegrinaggio. Il papa dunque si mette in viaggio per un’altra periferia dell’Europa, torna a Cipro, e poi procede per la Grecia, simbolo di quelle politiche rigoriste che tanto dolore hanno significato prima che la pandemia obbligasse a scenari nuovi.

Nell’isola divisa di Cipro, dove da decenni spicca anche la zona internazionalmente non riconosciuta, quella turco-cipriota, sempre più demograficamente modificata dall’importazione di popolazione anatolica, Francesco ha scelto di partire dalla minoranza maronita, una piccola Chiesa che rappresenta quello’1% della popolazione di origine libanese e siriana. Monsignor Selim Sfeir, arcivescovo maronita di Cipro, ha dichiarato poco prima dell’arrivo del papa in cattedrale che Francesco “va va avanti verso i  più vulnerabili e i più marginalizzati, che oggi sono i migranti costretti a lasciare i loro Pesi nel dolore e nell’illegalità”. Come non sentire la eco di quanto accade anche al confine tra Bielorussia e Polonia in queste parole? E infatti ecco puntuale la voce non confermata che giunge da Cipro: anche questa volta Francesco potrebbe permettere ad alcuni profughi di raggiungere Roma.

A questo riguardo proprio in queste ore difficilissime, segnate dalla preoccupazione del Centro Astalli – sezione italiana del Servizio dei gesuiti ai Rifugiti – per le misure eccezionali proposte dalla Commissione europea, in deroga alle normative comunitarie, per i richiedenti asilo che si trovano proprio al confine tra Bielorussia e Polonia. “Prevedere misure di reclusione dei migranti come forma di deterrenza e respingimento alla frontiera è contrario alle norme vigenti in Europa”, ha dichiarato padre Camillo Ripamonti. La tempistica di questo viaggio, che non è solo per i profughi ma certamente anche per loro, visto il frastuono che da anni la loro presenza determina, è stata dunque, purtroppo e ancora una volta, perfetta. Il nodo profughi scoppia in faccia a un’Europa che solo poche ore fa si esercitava su documenti sull’inclusività, ma dimostra anche che la vera polemica è questa, quella dell’inclusione reale delle periferie e dei loro drammi connessi con altri.

Dunque il papa che nel 2016 aveva condotto in salvo dallo spettrale campo di Moira tre famiglie di dodici musulmani, si ripeterà anche questa volta? Da Cipro dicono di sì. E che l’epicentro della crisi corrente sia molto più a nord non conta, perché quelle persone originano da questa parte del mondo, e perché questo viaggio in terre prevalentemente ortodosse, porta chiaramente un messaggio di dialogo e apertura. Bergoglio sa che proprio i maroniti che visita in queste ore di apertura del viaggio hanno visto un migliaio di loro giungere a Cipro dal vicino Libano. Portano la testimonianza di un dolore cattolico diverso da quello che si vive in Europa, venendo da un Paese devastato dalla distruzione economica che lo sconvolge dal 4 agosto dello scorso, quando l’esplosione del porto di Beirut amplificò la già esistente crisi economica che ha visto chiudere il sistema bancario più ricco del Medio Oriente. Difficile dunque pensare che questo viaggio si chiuda nei confini dei Paesi coinvolti: li riguarda, ma sapendo che i loro problemi sono i problemi dell’area e dell’incrocio tra essi e la “fortezza” europea. Non a caso, accogliendolo nella cattedrale maronita di Nocosia, il patriarca maronita Beshara Rai ha dato atto al papa che la sua presenza in !questa regione tormentata” è un messaggio forte.

Sullo sfondo non si può non vedere anche la preoccupante, e preoccupata, immagine turca. Asserragliata sulla difesa nazionalista dei suoi interessi, Ankara oggi è un problema più che un interlocutore sia per i rifugiati che per Cipro, per il futuro delle sue acque e delle trivellazioni nello spazio di mare che la circonda, per la perdurante divisione dei suoi territori, per la partecipazione alla strumentalizzazione dei fuggiaschi, per l’accaparramento insieme ad altri, in particolari russi, di disperati privati di tutto per arruolarli in milizie da inviare in vari scenari di guerra.

Il lungo viaggio di Francesco nelle periferie europee, quel viaggio che già lo ha condotto in Bosnia, in Albania, in Bulgaria, in Slovacchia e in tante altre periferie soprattutto dell’est e sud-est europeo è un viaggio che prosegue con questa tappa che testimonia la visione del papa, tra i pochi ad aver capito quanto della partita per l’anima europea si giochi qui.

La piccola Chiesa cattolica, minoritaria anche nell’ortodossa Cipro come nell’ortodossa Grecia, diventa così cifra di inclusione, fratellanza. Forse è anche per questo che, incontrando il clero maronita, Francesco abbia aperto il suo viaggio dicendo: “non ci sono e non ci siano muri nella Chiesa cattolica: è una casa comune, è il luogo delle relazioni, è la convivenza delle diversità”. Un messaggio chiarissimo, che poi ha ribadito cosi: “per costruire un futuro degno, bisogna lavorare insieme, superare le divisioni e coltivare l’unità”. I cristiani sapranno lavorare insieme? E’ la domanda di questo viaggio, durante il quale incontrerà il patriarca di Cipro, quello greco e “suo fratello” Bartolomeo, patriarca ecumenico di Costantinopoli.



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