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Iran, opzione militare se salta il Jcpoa

Venti di guerra sull’Iran? Non ancora, ma la preparazione di un piano militare (israeliano) è questione di (poco) tempo se Teheran non accetta un dialogo più aperto sul Jcpoa

Secondo il Jerusalem Post, durante la sua visita a Washington il ministro della Difesa israeliano, Benny Gantz, avrebbe avvisato gli Stati Uniti sui tempi ordinati a Tsahal per completare un piano di preparazione a un possibile attacco contro gli impanati nucleari iraniani. Per quanto riportato dal giornale israeliano, gli americani non avrebbero posto veti. C’è una componente narrativa — minacciare un attacco tiene insieme necessità interne e standing internazionale per il governo israeliano — ma non c’è da escludere che qualcosa anche in questo senso si stia muovendo. D’altronde l’amministrazione Biden è sì impegnata a portare avanti la ricomposizione dell‘accordo Jcpoa per il congelamento del programma atomico iraniano, ma ha già dimostrato di non essere disposta a troppe concessioni. E nel suo procedere senza fretta potrebbe non disdegnare la possibilità di far precedere lo studio operativo di un piano-B (che tra l’altro forse già esiste) che comporti opzioni di leve e pressioni più aggressive.

Una fonte della Reuters corrobora questa ricostruzione: dopo la precedente visita del 25 ottobre di Gantz nella capitale americana, il Pentagono ha aggiornato la Casa Bianca (tramite un briefing con il consigliere per la Sicurezza nazionale) che c’è in discussione una pianificazione congiunta con Israele. L’incontro — e il piano — erano stati tenuti finora top secret, ma se adesso vengono offerti ai media una ragione c’è: trasmettere a Teheran una certa urgenza, ossia far sapere che la presunta condizione di vantaggio di cui gli iraniani pensano di godere ai tavoli negoziali è precaria, come ricordava Annalisa Perteghella (Ecco). Questo perché lo scenario potrebbe anche capovolgersi dal piano negoziale a quello militare se l’Iran non accetta una via di dialogo.

Allo stesso tempo però, l’evocazione di uno scenario aggressivo dimostra le difficoltà occidentali — di Usa, Israele e Ue — nel trovare una quadra. Difficoltà che diventano scetticismo davanti al comportamento ancora chiuso dimostrato dai delegati iraniani nei primi colloqui sul Jcpoa avuti sotto la presidenza del conservatore Ebrahim Raisi (colloqui riavviati in queste due settimane, dopo che erano stati messi in stallo nei primi cinque mesi di potere di Raisi). Di questo americani, israeliani, europei, stanno parlando con alleati e partner in Medio Oriente. L’evocazione di uno scenario militare non rientra tra le prerogative (ideali) dell’Ue, mentre per quanto noto è stato discusso anche da una delegazione americana in visita negli Emirati Arabi Uniti. Abu Dhabi sta ricostruendo i rapporti con Teheran, ma è consapevole di soffrire ostilità tra i centri di potere della Repubblica islamica.

Gli emiratini sono anche consapevoli che se dovesse succedere il peggio finirebbero irrimediabilmente coinvolti; sia come regno sunnita opposto all’ideologia sciita di Teheran e satelliti regionali; sia come alleati americani; sia come pilastro degli Accordi di Abramo con Israele. Questa enorme esposizione abbinata alla volontà dell’erede al trono Mohammed bin Zayed di shiftare dalla politica estera più aggressiva e diventare un hub economico-diplomatico regionale rende chiara la delicatezza del dossier Iran visto dagli Emirati. Esposta lo è anche l’Arabia Saudita, che di eventuali effetti guerreschi con l’Iran subirebbe sul versante yemenita, da dove gli Houthi continuano a martellare le città saudite con armamenti le cui componenti vengono fornite dai Pasdaran.

Durante una visita ad Abu Dhabi, l’erede al trono Saudita, Mohammed bin Salman, ha parlato di come impostare una visione comune per portare l’unità nel Consiglio di cooperazione del Golfo alla luce delle nuove sfide regionali dalla transizione energetica alla minaccia dell’Iran. E il tema qui è proprio il preparasi (insieme? Se possibile) a uno scenario diverso dalla mediazione negoziale. Stesso tema che affronterà il primo ministro israeliano, Naftali Bennett, durante gli incontri che avrà nella capitale emiratina in questi giorni. Teheran accusa gli altri di alzare i toni e compiere mosse destabilizzanti e aggressive, dichiara (come fa da sempre) di non avere in piedi un programma nucleare militare, così come di non finanziarie gli Houthi o altre milizie.



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