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Biden e l’Italia, tra Russia e jihad. Parla il generale John Allen

Intervista al generale e presidente della Brookings Institution, già inviato speciale degli Usa nella Coalizione globale anti-Isis e comandante delle forze Nato in Afghanistan. A margine del Dialoghi Mediterranei di Ispi confida a Formiche.net le aspettative di Washington per l’Italia

L’Italia “fa la differenza”. John Allen, presidente della Brookings Institution, generale dei Marines a quattro stelle in congedo che ha guidato la Coalizione globale contro l’Isis e le truppe della Nato in Afghanistan, non ha dubbi. A margine dei Med dialogues organizzati da ISPI e Farnesina a Roma confida a Formiche.net: dalla crisi in Libia ai mercenari russi fino al terrorismo nel Sahel, gli Stati Uniti puntano su Roma per stabilizzare il Mediterraneo.

Generale, l’Italia può fare davvero la differenza nel Mediterraneo?

Non esagero quando dico che l’Italia è uno dei Paesi pivot per il Mediterraneo. Ha un vantaggio strategico per fare i conti con le grandi sfide della regione, dal clima allo sviluppo economico fino alla competizione fra grandi e medie potenze, dal terrorismo all’immigrazione e la Libia. E, non è secondario, oggi ha dei leader e degli strateghi consapevoli di questa missione.

Quali sono oggi le più grandi minacce alla sicurezza nell’area?

Sono molte. Alcuni conflitti sono congelati. Penso alla Libia, allo Yemen, ma anche all’Iraq, che fatica a rimettersi in piedi all’indomani di una seconda guerra contro l’Isis e Al Qaeda. L’Iran, una minaccia nucleare continua, che estende la sua influenza in Siria, Libano fino in Afghanistan: gli italiani che hanno abbandonato Herat se ne sono accorti.

Il terrorismo è ancora una preoccupazione?

Il terrorismo è vivo e vegeto, cambia solo forma. Nessuno in questi Paesi nasce terrorista. Le persone diventano radicalizzate quando un governo non fa nulla per prevenirlo. Da questo punto di vista, l’Italia è una forza stabilizzatrice. Grazie al suo modello di governance riesce a ridurre gli spazi per l’estremismo.

La Libia sta attraversando una faticosa transizione verso la democrazia. Crede che gli Stati Uniti di Biden siano pronti a impegnarsi per la sua stabilizzazione?

Gli Stati Uniti sono sicuramente più interessati alla Libia, cercano sponde con i partner regionali. Ma l’amministrazione Biden fa i conti con sfide interne molto serie, e molti dei nostri ufficiali e diplomatici dopo un anno non sono ancora stati confermati. L’America può contare su una inviata eccellente come Stephanie Williams, ma temo oggi non abbia ancora le risorse umane che vorrebbe impiegare in Nord Africa.

A proposito di Africa, il Segretario di Stato Antony Blinken è reduce da un tour nel continente. Preoccupa la guerra civile in Etiopia e la destabilizzazione che può derivarne. Cosa bisogna aspettarsi?

Non possiamo abbassare la guardia. Il network terroristico di Al Qaeda e dell’Isis ha un franchise molto forte nell’Africa settentrionale e sub-sahariana così come in Medio Oriente. Ci sono cellule del terrore che si moltiplicano tramite internet, le app criptate, e sono difficili da prevenire e tracciare. Tutto questo richiede la massima attenzione, non solo degli Stati Uniti ma di tutti i Paesi alleati, Italia inclusa. Basta un numero relativamente piccolo di radicalizzati per fare un enorme danno.

Intanto l’Europa fa i conti con la Russia di Vladimir Putin. Il pericolo di uno scontro al confine Est è reale?

L’esercitazione russa Zapad ha dispiegato al confine orientale della Nato un enorme potenziale militare. Non penso che ci troviamo di fronte a una nuova Sarajevo. E tuttavia la Russia deve capire che gli Stati Uniti sono pronti a difendere l’Europa.

C’è il rischio di un’invasione militare dell’Ucraina?

La difesa dell’Ucraina è una priorità. Finché l’Europa resterà unita e impegnata a rafforzare le capacità di Kiev, avremo tutto quel che serve: deterrenza. L’Italia da parte sua può lavorare con la Nato per rendere meno probabile uno scontro al confine Est.

La Russia è anche in Nord Africa. Per la Nato la presenza di mercenari russi in Libia è un problema?

Il fronte Sud è complesso. Non è facile per la Nato creare deterrenza dove ci sono instabilità, migrazioni, conflitti o crisi economiche. Il primo passo allora è comprenderne le cause. La maggior parte di queste si deve alla fragilità e alla corruzione dei governi locali. La Nato, l’Ue e l’Italia possono e devono creare le condizioni economiche per evitare la radicalizzazione e la penetrazione di forze straniere.

Di quali penetrazioni parla?

La Russia, anche se non ufficialmente, è impegnata in Libia, Siria e in una ventina di Paesi con le sue milizie private, come il Wagner group in Libia. Quando questi mercenari arrivano, l’instabilità è il primo piatto del menu, insieme al sostegno ai leader e ai governi autoritari.

C’è un modo per confrontare queste milizie?

A mio parere un confronto militare è controproducente. Più efficace creare un ambiente competitivo dove l’appeal della Wagner sia eclissata dai programmi di sviluppo occidentali. Non è facile, non succederà dalla notte al giorno, ma è necessario. La Russia su questo fronte è avanti a noi. Prima lo realizziamo, prima recuperiamo terreno.

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