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Libia, che succede a dieci giorni dal (non) voto

Si voterà in Libia? La domanda che ci si pone a meno di due settimane da quello che sarà un passaggio cruciale per il Paese trova risposte scettiche. Ecco quali

A dieci giorni dalle elezioni che l’Onu ha programmato per completare la stabilizzazione della Libia, la sensazione è che il voto stia per saltare; secondo alcune fonti libiche il rinvio è praticamente sicuro, resta da capire se sarà questione di giorni oppure per un tempo indefinito – rumors parlano di un ritardo di almeno un anno, pericolosissimo perché l’incarico affidato ad interim all’attuale governo scade proprio il 24 dicembre e dunque la Libia si ritroverà senza governo de iure tra pochi giorni. Il rischio che collassi l’intero percorso verso la stabilità è evidente.

Ci sono vari elementi che avvallano questo timore (sia sul voto che sulle conseguenze), a cominciare dalla dichiarazione dell’organismo che supervisiona il voto, che ha dichiarato di non essere in grado di annunciare i candidati approvati a causa di continui dubbi legali. Una serie di sentenze dei tribunali ha annullato le decisioni della Commissione elettorale libica di bloccare figure di alto profilo tra cui Saif al-Islam Gheddafi, il figlio dell’ex dittatore, dalla candidatura alla presidenza. E anche il primo ministro ad interim, Abdulhamid Dbeibah, e il signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar, sono stati nel frattempo riabilitati dalla commissione. Decisione che è stata subito impugnata da altri partiti. I principali candidati di Misurata, come ricordava su queste colonne Daniele Ruvinetti (Fondazione Med Or), si sono riuniti nei giorni scorsi per prepararsi a uno scenario critico in cui il voto salta e con lui probabilmente le speranze della Comunità internazionale e di buona parte degli attori libici di riunire il Paese profondamente diviso.

Le fazioni rivali si sono accusate a vicenda di aver intimidito o corrotto funzionari giudiziari per assicurarsi il reintegro dei loro candidati, e la Commissione sta cercando di capire se le decisioni sono valide, ma è materia praticamente impossibile anche per le tempistiche.

Due esempi: Dabaiba aveva promesso come condizione per diventare premier che non si sarebbe candidato alle elezioni, ma da allora ha sostenuto in tribunale che si trattava di un impegno morale senza valore legale. Saif Gheddafi è stato condannato in contumacia nel 2015 per crimini di guerra per la sua parte nella lotta contro la rivoluzione che ha rovesciato il padre e per questo non sarebbe candidabile. Se Dabaiba è tra i favoriti — e la sua candidatura potrebbe portarsi dietro un successivo non riconoscimento del voto da altri attori qualora vincesse — il peso di Saif e Haftar è ben diverso: se dovessero essere esclusi dal voto potrebbero reagire muovendo le armi.

La presenza di decine di migliaia di combattenti stranieri come i russi della Wagner, mercenari africani e milizie interne rendono il Paese una polveriera, e si teme che un risultato non riconosciuto possa essere l’avvio di una nuova stagione armata. Forze come la Wagner — che hanno sostenuto Haftar nell’ultima guerra civile — potrebbero essere usate per favorire il disordine, attività classica di destabilizzazione, piatto forte dei contractor russi su cui si basano le sanzioni proposte dall’Ue. Nella notte, a Sebha, città haftariana dove Saif al Islam ha presentato la sua candidatura, ci sono stati scontri.

La capacità della Comunità internazionale di chiedere alla classe politica libica di rispettare la data delle elezioni del 24 dicembre, concordata per la prima volta a febbraio, è ostacolata da queste dinamiche interne e dai veleni prodotti dalle interferenze straniere. Anche la defezione dell’inviato speciale delle Nazioni Unite, Ján Kubiš, che si è dimesso tre settimane prima delle elezioni dopo meno di un anno di incarico, ha contribuito a offrire il fianco alle divisioni interne.

La nomina come inviata speciale di Stephanie Williams, una diplomatica statunitense che conosce bene il dossier libico, è arrivata pochi giorni fa e rischia di non essere sufficiente per salvare il voto, sebbene abbia già mostrato la volontà di affrontare coloro che nella classe politica interna si oppongono alle elezioni e sia stata in grado di forzare il processo di stabilizzazione post cessate il fuoco attraverso la costruzione del Foro di dialogo libico, da cui è stato nominato il governo transitorio affidato a Dabaiba – proprio con l’obiettivo del voto. Sulla nomina di Williams la Russia aveva posto il veto: Mosca adesso sostiene Saif al Islam, ma sul campo con la Wagner è dietro alle milizie della Cirenaica che rispondono ad Haftar.

La missione dell’Onu ha rilasciato una dichiarazione che esorta tutte le parti a non sprecare i guadagni fatti, indicando la registrazione di quasi tre milioni di elettori, la distribuzione con successo delle tessere elettorali e le candidature di un gran numero di candidati alla presidenza e al parlamento come segni del profondo sostegno popolare alle elezioni. L’ambasciatore degli Stati Uniti in Libia, Richard Norland, ha detto che “rifiutarsi di andare alle elezioni e mobilitarsi per ostacolarle non farà altro che mettere il destino e il futuro del Paese alla mercé di coloro che, all’interno della Libia e tra i loro sostenitori esterni, preferiscono il potere dei proiettili a quello dei voti”.


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