L’economista e docente della Bocconi: da Kkr un grande riconoscimento all’Italia da parte dei mercati, ora bisogna separare la rete e darne il controllo allo Stato, ma senza dimenticare di imbarcare azionisti privati che diano velocità ed efficienza all’infrastruttura. E per Vivendi può essere un affare…
Se lo Stato vuole la sua società della rete, l’occasione è quella buona. La calata del fondo americano Kkr su Tim rappresenta proprio quella finestra dalla quale entrare per dare vita a un progetto di cui si parla da anni, ma senza mai arrivare a fare scacco matto. Ci sono almeno due elementi che giocano a favore di un’infrastruttura unica a trazione pubblica.
Primo, Kkr vuole Tim a 50 centesimi ad azione ma non sembra aver espresso particolari desideri per AccessCo, la società dentro la quale infilare la rete dell’ex Telecom e quella in fibra di Open Fiber, orfana di Enel da pochi giorni e controllata da Cassa Depositi e Prestiti. Secondo, Vivendi, azionista di riferimento di Tim con il 23,7%, ha nel fine settimana inaspettatamente aperto a un ruolo dominante dello Stato dentro la società per la rete. La vede proprio così Carlo Alberto Carnevale Maffè, economista e docente della Bocconi, che a Formiche.net spiega come e perché le pedine nello scacchiere della banda larga si stanno posizionando nel posto giusto. Finalmente.
Partiamo dal principio. Kkr muove su Tim, c’è odore di Opa. Una buona notizia?
Assolutamente sì, tutto questo certifica il grande interesse degli investitori internazionali verso l’Italia e verso un Pnrr il cui fulcro sono gli investimenti pubblici e privati. Un fondo di tali dimensioni che vuole uno dei primi gruppi telefonici è un’occasione da non farsi sfuggire. Scusi ma mica stiamo parlando della ferrovia per Reggio Calabria, ma di un’infrastruttura nazionale, la rete. Le pare poco?
C’era da aspettarsela una simile mossa?
Con ogni probabilità sì. Lo scorso anno Kkr è entrata in Fibercop (la società di Tim che gestisce l’ultimo miglio, la rete che sale dalla strada alle abitazioni, rilevando una quota del 37%, ndr), hanno visto che c’erano delle opportunità e ora hanno deciso di investire in Tim. Ricordiamoci che Kkr non si muove da sola, ma con delle banche che supporterebbero il fondo e se si muovono le banche vuol dire che l’operazione è certa.
Maffè, al netto di Tim l’altra grande partita è la creazione della società per la rete e il successivo controllo. Non le sarà sfuggita l’apertura di Vivendi…
Quella mossa è sintomo di una convergenza. Mi aspetto una separazione della rete, uno spin off, con la parte servizi che può tranquillamente rimanere sotto la presenza forte e robusta di Vivendi, la quale vuole rimanere in Tim, nonostante il possibile controllo di Kkr, una volta conclusa l’Opa. Poi c’è l’altra parte, la rete vera e propria che chiama in causa il cloud, la cybersecurity. E lì serve una presenza pubblica, una Cdp che funga da anchor investor.
Chissà perché mi viene in mente il modello Terna…
Perché quella è la direzione, un socio forte ma non invadente, che faccia un po’ da garante, attorno al quale possono ruotare altri investitori che imprimano alla società un’efficienza industriale che lo Stato da solo non può dare. Insomma, infrastruttura di rete con socio pubblico, Open Fiber o la stessa Cdp poco importa, governance pubblica per garantire la sicurezza dei dati ma poi altri azionisti privati che rendano scattante la società. E mi pare che questa sia anche la visione di Dario Scannapieco (ad di Cdp, ndr).
C’è anche chi ipotizza una quotazione in Borsa. Lei che dice?
Che mi pare una scelta giusta, la quotazione serve. D’altronde anche la stessa Terna è quotata.
Torniamo all’Opa di Kkr. Il governo ha paventato l’uso del Golden power. Come finirà?
Ci credo poco, perché secondo me lo sapevano che Kkr avrebbe scoperto le carte, non ci crede nemmeno un bambino. E poi anche l’Europa vuole questa operazione, una separazione della rete senza un operatore verticalmente integrato. L’operazione sta in piedi eccome. La tutela della sicurezza è garantita dal controllo pubblico della rete, il governo ha quello che cerca, ovvero un grande investitore e poi non ci sono nemmeno esuberi di personale.
In che senso?
Il grosso del personale rimarrà in capo a Tim e i costi andranno a caricarsi sui costi della rete e ovviamente sui clienti finali, ovvero gli utenti. Dunque niente esuberi e qualche costo in più.