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Meloni e Salvini davanti al sudoku del Quirinale

Pur di malavoglia, a Salvini e Meloni conviene trovare un accordo sul nome per il Quirinale, perché ogni scenario alternativo è di certo peggiore (per loro). Il commento di Arditti

Non facciamola troppo complicata: la destra italiana arriva all’appuntamento per l’elezione del Capo dello Stato forte come non mai (nei numeri), ma non per questo certa di raggiungere l’obiettivo politico fondamentale, cioè riuscire (per la prima volta) a decidere in casa propria chi sarà l’inquilino del Quirinale per i prossimi sette anni.

Ma se questo è vero, cosa rende tale la situazione in cui operano tutti i protagonisti (grandi e piccoli) che stanno per applicarsi al tema non appena conclusa la breve stagione del rientro in famiglia per Natale?

Tre sono gli elementi che pesano come macigni su questo stato di cose e sono, tutto sommato, facili da elencare.

Il primo è che la destra italiana (ironia della sorte) pur cercando da decenni di spingere l’Italia verso una Repubblica presidenziale è oggi senza un capo riconosciuto e riconoscibile, ma è anzi attraversata da tensioni più o meno sotterranee che spesso (si veda alla voce elezioni comunali 2021) finiscono per avere effetti nefasti anche sulle campagne elettorali. Sotto questo profilo la sostanziale condizione di equilibrio tra Meloni (che ha qualche vantaggio nei sondaggi ma meno eletti in Parlamento) e Salvini (che ha più eletti in Parlamento ma è ormai da mesi indietro nei sondaggi) finisce per essere più un elemento di disturbo che di aiuto, poiché nessuno dei due è titolare dell’ultima parola.

Il secondo è rappresentato dalla candidatura, tanto non ufficiale quanto evidente a tutti, di Silvio Berlusconi. Qui bisogna essere chiari e onesti, guardando le cose come stanno. Va riconosciuto a Berlusconi un merito “storico”, cioè quello di affrontare la partita a viso aperto e senza infingimenti, giacché ha fatto capire a tutto il mondo che andrebbe volentieri al Quirinale, nonostante la prassi decennale che vede da sempre trionfare chi sa restare dietro le quinte. Quindi ancora una volta il Cavaliere si dimostra un radicale innovatore dei metodi d’azione politica in uso dalle nostre parti. Però occorre essere altrettanto chiari sulle caratteristiche di questa candidatura, che è per sua natura assai poco adatta alla raccolta di consensi larghi ed al tempo stesso perfetta per mandare al mondo intero un messaggio assai semplice: se riesce è la prova che in Italia comanda ancora lui, con buona pace di chi proverà a vincere le prossime elezioni giocando nella sua stessa metà campo, cioè proprio Meloni e Salvini. Quindi i due giovani leader non possono eludere il tema con un’alzata di spalle o una frase sibillina ai microfoni dei tg: se il Cav trionfa loro dovranno gestirne il successo (con sicuri colpi di reazione, compresa la ripartenza di tutti gli oppositori di ogni ordine e grado) ma se lui perde loro, parimenti, dovranno attutirne la delusione, sentimento che non si ridurrà mai e poi mai in pura manifestazione “privata”.

Infine c’è il terzo elemento che riguarda l’attuale premier. Già perché Draghi è oggi a Palazzo Chigi ma tutto il mondo che conta ne vede assai bene la permanenza in ruoli di vertice ben oltre le prossime elezioni. Il che però vuol dire due (e non più di due) cose: o lo scegli per il Quirinale o te lo ritrovi come possibile capo del governo anche dopo il voto. Nel primo caso dai un forte dispiacere a Berlusconi, nel secondo caso rischi di finire a giocare un ruolo di secondo piano, indipendentemente dai voti raccolti.

Con questi ridotti margini di manovra si svolgerà la partita a destra, peraltro difficilmente ampliati dal tentativo di convergere su un nome “nuovo” o comunque alternativo. Meloni e Salvini a qualcuno dovranno dare un dispiacere forte, ma se non si metteranno d’accordo tra loro avranno buone possibilità di veder sbucare un candidato scelto da altri (Renzi ad esempio, ma anche il Pd, cioè l’unico rappresentante credibile del nostro deep state).

Pur di malavoglia, ai due conviene trovare un accordo, ogni scenario alternativo è di certo peggiore (per loro).

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