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Sul Colle Meloni è di parte e Azione irrilevante. Intervista a Romano (Pd)

Il deputato dem dopo le parole della leader di FdI in chiusura della kermesse: “Meloni conferma il cupo settarismo di una destra che scommette solo sulla divisione dell’Italia. Salvini e Berlusconi dovranno dimostrare la capacità di emancipare la destra italiana”

Atreju si chiude con una Giorgia Meloni fiammeggiante e risoluta più che mai nel volere, al Quirinale, un patriota. “Berlusconi lo è”, ha detto la leader di Fratelli d’Italia. “Draghi non so”. Eppure, la kermesse si era aperta con il segretario del Pd Enrico Letta che aveva aperto al coinvolgimento dei meloniani nella discussione per designare il prossimo inquilino del Colle. Ora, dopo il colpo di sciabola, bisogna ricomporre il quadro cercando una mediazione fra destra, sinistra e pentastellati. A fare il punto della situazione è Andrea Romano, deputato del Pd.

Ad Atreju, ma anche in altre sedi pubblicamente, Enrico Letta apre a FdI per la scelta del prossimo inquilino del Colle. Che segnale ha voluto dare il segretario?

Un segnale di responsabilità e di saggia apertura a tutte le forze politiche, comprese quelle di opposizione, come è indispensabile fare per garantire che nei prossimi sette anni al Colle sieda una personalità capace di garantire la massima unità della Nazione, evitando il rischio di una elezione quirinalizia a maggioranza. Personalmente ritengo che Sergio Mattarella abbia incarnato quell’unità in maniera eccellente e con grandissimo equilibrio. E sarei felice di indicare ancora una volta il suo nome sulla scheda per la scelta del Presidente della Repubblica, come ho già fatto nel 2015.

In chiusura della kermesse, la leader di FdI ha detto che al Quirinale dovrà andarci un patriota, alludendo a Silvio Berlusconi. Ma lasciando aperto uno spiraglio a Mario Draghi. È un modo per dire che non ci sono margini di trattativa?

Se il segnale di Letta è stato improntato alla responsabilità e all’apertura, la risposta di Meloni conferma il cupo settarismo di una destra che scommette solo sulla divisione dell’Italia. Dietro il tentativo di appropriazione indebita della parola “patriota” da parte di Fratelli d’Italia, in particolare, c’è tutta l’ipocrisia di un partito che nella realtà è lontanissimo dal patriottismo e prigioniero semmai di un nazionalismo antieuropeo che predica l’isolamento dell’Italia dai contesti comunitari e multilaterali e auspica nei fatti la rovina della nazione. E chissà come avrebbe risposto ai giochetti di parole della Meloni un grande patriota francese come Charles De Gaulle, secondo il quale “le patriotisme, c’est aimer son pays; le nationalisme, c’est détester celui des autres.” (“Il patriottismo è l’amore per il proprio Paese, il nazionalismo è l’odio per gli altri Paesi”). Dopo di che quella infelice battuta della Meloni rivela anche un pregiudizio inaccettabile verso Sergio Mattarella, che la leader di FdI non votò nel 2015 e il cui esemplare settennato evidentemente non ritiene fondato su spirito patriottico. La verità è che la Meloni auspica una elezione quirinalizia di parte: un’eventualità che porrebbe la prossima presidenza su basi fragili, proprio quando l’Italia avrà bisogno di massima unità e condivisione.

In che modo, con questi presupposti, si riuscirà a trovare una mediazione con il centrodestra?

La scelta è in capo a Salvini e Berlusconi, che dovranno dimostrare nei fatti la capacità di emancipare la destra italiana dal fazioso settarismo della Meloni. Il Pd, come ha ribadito Letta, giocherà la propria parte in chiave di responsabilità e dunque di ricerca della massima unità.

Che tipo di riscontro si aspetta, su questo versante, dagli schieramenti centristi di Italia Viva e Azione?

Il peso di Azione è del tutto irrilevante, al netto della facondia comunicativa di Calenda e dei suoi diktat quotidiani nei confronti del Pd. Per quanto riguarda Italia Viva, la speranza è che in questa partita decisiva per il futuro dell’Italia Renzi voglia giocare un ruolo costruttivo senza farsi catturare dalle sirene del tatticismo e dalla tentazione di un accordo con Salvini.

Per la costruzione del campo largo, sarà fondamentale per i dem rinsaldare le fila anche coi centristi. Come creare il terreno comune tra renziani, calendiani e grillini?

In politica i veri terreni comuni, quelli solidi e resistenti, si costruiscono per l’appunto su basi politiche e non sugli obblighi che derivano da leggi elettorali fintamente maggioritarie come il Rosatellum. Una nuova legge elettorale di stampo proporzionale, con una soglia di sbarramento equilibrata e dunque del 5%, servirebbe innanzitutto all’Italia per restituire alle istituzioni parlamentari piena rappresentanza e piena governabilità. D’altra parte questi anni ci hanno insegnato, nei fatti, che il vero bipolarismo è quello che nasce in Parlamento condividendo dopo il voto agende politiche e obiettivi concreti piuttosto che siglando prima del voto patti elettorali forzosi destinati regolarmente a sfasciarsi il giorno dopo le elezioni. Questo vale sia per la destra sia per la sinistra, dove la costruzione del campo largo sarà più solida se poggiata sulla capacità di ogni partito di pesarsi nelle urne dentro la comune condivisione di un orizzonte politico. Per quanto riguarda i Cinque Stelle, ad esempio, chi può negare che quel Movimento oggi condivida l’orizzonte europeistico e solidale a cui è arrivato anche grazie all’alleanza di governo con il Pd? E se i nostri due partiti saranno liberi di “correre” ciascuno per proprio conto, grazie ad una legge elettorale di stampo proporzionale, l’alleanza di governo che nascerà dopo il voto sarà più solida di quella che ci troveremmo forzatamente a dover siglare prima del voto negoziando singoli collegi o singole desistenze. Per quanto riguarda il cosiddetto “centro” sono invece molto pessimista: piuttosto che una forza moderata e liberale vedo l’affollarsi di piccoli partiti personali, tutti dominati da forme di “populismo centrista”, tutti in lotta tra di loro e tutti animati da una furibonda ostilità verso il Partito Democratico. In questo senso Azione e Italia Viva mi ricordano il Pdup e Democrazia Proletaria: partitini settari animati da una grandissima autostima, assai poco rilevanti nel voto reale degli italiani e la cui unica ragion d’essere fu sempre e soltanto la polemica contro il Pci.

 

 

 

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