Alla vigilia della conferenza sul nuovo nucleare e la transizione energetica promosso dall’Associazione italiana nucleare, la politica sta metabolizzando il dibattito sull’atomo. E, facendolo, talvolta scade nell’ideologismo. Breve guida contro gli aut-aut
La riapertura del dibattito italiano sull’energia nucleare, rivitalizzato dall’urgente bisogno di decarbonizzare la produzione di elettricità, non ha mancato di polarizzare. Se da una parte alcuni promotori del nucleare (o, perlomeno, le sue iterazioni future) lo indicano come una strada che non si può non percorrere, ampie sezioni del mondo ambientalista hanno levato gli scudi e contestato la sola idea di prenderlo in considerazione per il mix energetico dei prossimi decenni.
La vicenda si sta facendo politica. Lunedì la Lega ha fatto un ulteriore passo per intestarsi la battaglia a favore dell’atomo mediante una conferenza tenuta dal segretario Matteo Salvini, la sottosegretaria al Ministero della Transizione ecologica Vannia Gava e il responsabile energia del partito, Paolo Arrigoni. Il Carroccio ha cercato di farsi interprete della dottrina di Roberto Cingolani, l’ex direttore del Cnr oggi a capo del Mite, e ha sostenuto la necessità di investire in ricerca e sviluppo per il nucleare di nuova generazione per non rimanere al palo rispetto al resto d’Europa.
Nelle stesse ore il ministro della transizione stava spiegando a un gruppo di liceali che il piano italiano prevede di accrescere la quota di energia rinnovabile al 70%. Nel contempo sottolineava l’importanza di studiare la frontiera del nucleare come le centrali piccole e modulari e oltre (“sono assolutamente certo, ci metterei la firma, la fusione nucleare sarà la soluzione di tutto”). Poi martedì è arrivata la prevedibile randellata ultrambientalista, con i co-portavoce nazionali di Europa Verde Eleonora Evi e Angelo Bonelli che dalle colonne del Fatto Quotidiano hanno chiesto le dimissioni di Cingolani.
La linea antinucleare
Per i Verdi il capo del Mite starebbe “di fatto ostacolando la transizione ecologica”, dirottando l’attenzione verso il possibile ruolo di nucleare e gas nel mix energetico del futuro e lontano dalle fonti interamente rinnovabili. La stessa linea di Legambiente, che in un comunicato dello scorso mese ha definito queste ultime “la vera e unica strada da percorrere” per rispettare gli obiettivi di decarbonizzazione e invitato la comunità a non “perdere tempo inutilmente” sull’atomo.
Le ragioni sono note: la parte del mondo ambientalista che avversa il nucleare ritiene che lo stato dell’arte moderno, almeno a livello di industria, impieghi troppi anni e miliardi per creare centrali che producono energia costosa e pericolosa, dato l’impiego di materiale radioattivo, il rischio sismico, lo stoccaggio delle scorie e quant’altro. Ed effettivamente i reattori “classici” sono caratterizzati da tempi di costruzione troppo lunghi per pensare di farli ripartire da zero qui in Italia, con l’orizzonte del 2050 per la neutralità carbonica, per non parlare dei costi, evidenziati dal direttore di Greenpeace Italia Giuseppe Onufrio sul Domani.
La questione delle rinnovabili
Tuttavia, le difficoltà tecnologiche impattano anche la credibilità del ricorso totale alle rinnovabili, quanto prima. Considerando che fonti come il sole e il vento sono intermittenti (a causa dei venti deboli di quest’estate la Germania ha prodotto un decimo dell’energia eolica rispetto alla sua capacità), e tenendo a mente che l’industria energetica deve disporre della capacità per coprire il picco della domanda e non solo la baseline, non disponiamo della capacità di accumulo necessaria per assicurarci una fornitura affidabile. Né oggi, né tra dieci anni, forse nemmeno tra trenta per quanto ne sappiamo.
Servono investimenti in innovazione, sviluppo, batterie, serve rinnovare il sistema di distribuzione per accomodare le nuove fonti “decentralizzate” (con decine di migliaia di consumatori-produttori anziché poche centrali “a monte”) ancora tutte da costruire. Una scommessa su cui abbiamo investito tempo e (parecchi) miliardi, contando che nel prossimo trentennio non si può prescindere dalle fonti di transizione, che in Italia prendono la forma del gas naturale – la meno “sporca” tra le fonti fossili, che utilizziamo sempre più – in mancanza di tecnologia nucleare esistente, la quale (eccezion fatta per il processo di costruzione della centrale) non emette CO2.
Appoggiarsi al gas consente di decarbonizzare (diminuendo il ricorso a carbone e petrolio) e guadagnare tempo mentre si portano avanti ricerca, sviluppo e installazione di capacità rinnovabile. È una scommessa che si fa sapendo che anche il tempo del gas finirà quanto prima. Perciò il cuore della questione è quando, e come, si arriverà a quello stadio. Ossia, se convenga puntare tutto sulle rinnovabili o se si vuole provare ad arrivare al 2050 affiancandovi una potenziale alternativa pulita, efficiente ed affidabile.
Cover your bets
Legambiente respinge le tecnologie nucleari di prossima generazione – sulla carta molto più sicure, veloci ed economiche da costruire – citando la mancanza di prove che ne attestino l’efficacia e la convenienza. Lo stesso identico discorso vale per il sistema rinnovabili-accumulo-distribuzione decentralizzata del futuro: funziona in linea teorica ma è ancora tutto da dimostrare in pratica. E ogni investitore sa che diversificare il proprio portfolio di “scommesse” è imperativo per massimizzare le chances di raggiungere i propri obiettivi.
Il Pnrr italiano e l’Ue hanno già allocato risorse ingentissime sulla scommessa delle rinnovabili. Dunque non si comprende l’opposizione feroce di una parte di ambientalisti all’inclusione di gas e nucleare nella tassonomia europea per gli investimenti verdi, che sbloccherà finanziamenti agevolati per ricerca e sviluppo in questi settori. Questo non significa che il potenziale investitore (o Stato) si disinteresserà alle rinnovabili, che peraltro sono già una scommessa sicura dato l’ampio sostegno dei governi del mondo: piuttosto, avrà un’opzione aggiuntiva su cui scommettere.
Il rapporto costi-benefici di investire su alternative alle rinnovabili è troppo vantaggioso per essere ignorato: in caso di successo la specie umana avrà per le mani uno strumento in più per decarbonizzare. Lo sguardo è al futuro: come i gasdotti esistenti servono per la transizione da qui al 2050 e sono la base per la distribuzione di idrogeno domani, ricerca e sviluppo sul nucleare di prossima generazione possono portare, nei prossimi anni, a un nucleare ancora più conveniente di quanto già non sia quello installato (che secondo l’Iea ha evitato l’emissione di oltre 60 gigatonnellate di CO2 negli ultimi 50 anni, l’equivalente di due anni di emissioni totali).
L’ultimo elemento da inserire nell’equazione è la semplice presa d’atto che il fabbisogno energetico italiano, come quello globale, continua e continuerà ad aumentare, man mano che i Paesi si industrializzano e più persone migliorano i propri standard di vita. A maggior ragione, per il bene del pianeta e delle prossime generazioni è semplicemente d’obbligo affrontare la transizione con tutti gli strumenti possibili. O per citare quello che disse Cingolani, “nell’interesse dei nostri figli è vietato ideologizzare qualsiasi tipo di tecnologia”.