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Pandemia, la necessità di una politica sanitaria occidentale comune

È necessario prendere contezza che soltanto una politica sanitaria continentale, senza deroghe a favore di nessuno, che tuteli la sanità pubblica, potrà forse sconfiggere in tempi tutt’altro che brevi questa mostruosa catastrofe che ci costringerà, se le cose resteranno così, a vaccinarci almeno due volte l’anno, a restringerci nel nostro privato, a limitare viaggi e vita sociale. Il commento di Gennaro Malgieri

Non sarà un Natale felice. Le aspettative sono state disattese. La nuova variante del coronavirus ha rigettato il mondo, e quello occidentale in particolare, nel panico. Rispetto ad un anno fa, per quanto la mortalità e la degenza nelle terapie intensive sia calata sensibilmente, sono aumentati e non di poco i contagi. Responsabilità di Omicron? Chi può dirlo, per quanto sia probabile. Neppure è da addebitare la cosiddetta “quarta ondata” ad errate previsioni da parte di scienziati e politici. E nemmeno ci sentiamo di chiamare in causa la gente comune (no vax compresi, minoranza di soggetti che ha rifiutato di vaccinarsi) per giustificare la ripresa della pandemia in grande stile.

La verità è che, dopo due anni dall’apparizione del flagello che condiziona le nostre esistenze, dobbiamo ammettere che sappiamo assai poco rispetto alle mutazioni di un morbo dal quale, a questo punto, c’è da attendersi di tutto. Si teme ragionevolmente una catastrofe epocale, al netto di quanto è già accaduto ed il tempo lavora contro di noi che beneficiamo dei vaccini e di qualche farmaco  appena approntato. Stupisce che, nonostante la pubblicistica al riguardo sia ormai diventata imponente, ancora poco o niente venga fattivamente fuori dagli istituti di ricerca e dalle istituzioni politiche per determinare ad applicarsi a combattere la  mostruosa relazione tra infezione animale (il salto dalle specie selvatiche all’uomo è incredibile) e devastazioni climatiche connesse anche al tasso di mancanza di igiene in vaste aree del pianeta.

Ma rientrando nel recinto della pandemia che ci tiene “prigionieri”, pur senza chiamare direttamente in causa come responsabile di quanto accaduto nessuno  (se non la Cina), sorprende che pur avendo avuto a che fare negli ultimi trent’anni con forme virali pericolosissime e devastanti, alcune delle quali tutt’altro che debellate, come l’Hiv, nessuno Stato, nessuna organizzazione sovranazionale, nessuna fondazione scientifica abbia investito in forme di prevenzione a tutela delle nostre comunità nel solo modo possibile: stabilire un piano di ricerca ad ampio raggio allo scopo di scoprire nuovi virus dei quali neppure la fantasia degli esperti in fantasy è mai riuscito ad immaginare, con un’accorta vigilanza degli spillover, vale a dire il “salto” da una specie all’altra, come è avvenuto per il coronavirus, sia esso stato generato da un pipistrello trasmigrato in un maiale o comunque da una qualsivoglia bestia ad un’altra.

Non sono state prodotte diagnosi sulle origini dei virus possibili o probabili; non si è registrata una soddisfacente amministrazione della sanità pubblica che in alcune aree della Terra è stata ed è tuttora assente. E poi, come dice David Quammen, il geniale studioso nonché precursore nel metterci sull’avviso con un libro fantastico di quanto sarebbe accaduto, è mancata la volontà politica di assumersi il rischio di sostenere le spese per una preparazione indispensabile, visti alcuni sintomi inquietanti. Se si è pensato ed agito così – e tutto sembra farlo credere – vuol dire che l’umanità vive in una sorta di sogno per quanto i moniti catastrofici la condizionino.

Ma il sogno è tragicamente finito. Periodicamente, chissà per quanto tempo, dovremo ricorrere a misure che salvaguardino la nostra vita con tutto il corredo di polemiche che le misure prese dai governanti innescheranno. E a tal riguardo, ciò che sta accadendo negli Stati Uniti ed in Europa è assai significativo. L’altro giorno a New York si sono registrati ventuno mila contagi: terrificante. Nel nostro continente la paura è tanta da indurre alcuni governi a chiusure drastiche. Ad indurre quello francese, da ultimo, a presentare all’Assemblea nazionale una proposta di legge con la quale stabilire la vaccinazione obbligatoria per tutti. Ci sarà certamente chi non approverà, si apriranno altri inutili dibattiti, intanto il Natale infelice è arrivato ed il dopo non sarà migliore. Almeno fino a quando non si prenderà contezza che soltanto una politica sanitaria continentale, senza deroghe a favore di nessuno, che tuteli la sanità pubblica, potrà forse sconfiggere in tempi tutt’altro che brevi crediamo questa mostruosa catastrofe che ci costringerà, se le cose resteranno così, a vaccinarci almeno due volte l’anno, a restringerci nel nostro privato, a limitare viaggi e vita sociale, a non vivere più, insomma.

Ma i governi nazionali europei, litigiosi, impauriti, timorosi soltanto di perdere consensi, riusciranno a promuovere una politica sanitaria comune che ci metta in condizione quantomeno di poter sperare? Ne dubitiamo fortemente. Ricerca e solleciti provvedimenti unitari potrebbero darci qualche speranza.

In conclusione di un suo realistico e suggestivo libretto, David Quammen (Perché non eravamo pronti), scrive: “Sono necessarie altre ricerche sul campo. Altre campionature di animali selvatici. Altri esami sui genomi. Una maggiore consapevolezza del fatto che le infezioni animali possono diventare infezioni umane, perché gli esseri umani sono animali. Viviamo in un mondo di virus, e a malapena abbiamo iniziato a comprendere questo”.

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