Putin riabilita la storia dell’Urss per scriverne una nuova. La chiusura dell’associazione Memorial fondata da Sakharov è un monito inquietante per l’Ucraina sotto minaccia di invasione, dice lo storico russo Andrey Zubov. Dai Brics alle repubbliche del Csi, così lo zar muove le sue pedine
Rivisitare la storia per cambiare il presente. Il più scontato dei cliché autoritari torna utile per capire le ultime mosse di Vladimir Putin. La chiusura di Memorial, l’associazione fondata trent’anni fa dal premio Nobel per la pace Andrej Sakharov per tenere vivo il ricordo dei crimini del comunismo sovietico, non è l’ultima puntata della “repressione interna” del governo russo. È piuttosto l’episodio pilota di una nuova serie di cui Putin è regista e produttore.
Dietro la clava della “legge sugli agenti stranieri” c’è la volontà del Cremlino di riabilitare una parte della storia sovietica per dare senso e corpo a una nuova fase. Andrey Zubov, storico russo e prima linea del Partito della libertà, è convinto che il colpo contro Memorial racconti qualcosa dei prossimi passi del Cremlino in Ucraina. “Putin è convinto che tutte le ex repubbliche sovietiche facciano ancora parte della Russia e debbano contribuire a formare una “nuova Russia”. Bielorussia, Moldavia, Kazakistan, l’Ucraina non fa eccezione”. Chiudere l’associazione “è il suo modo per liquidare gli ultimi residui di liberalismo nati nella seconda metà degli anni 80 prima con Gorbacev e poi con Eltsin e aprire a un ritorno dell’Unione sovietica nella politica russa”.
Un monito eloquente per i colloqui con la Nato che a gennaio proveranno a spegnere la polveriera al confine Est dell’Ucraina, dove sono ancora schierati 170mila soldati russi in tenuta da combattimento. “Putin vuole cercare di ristabilire i vecchi confini sovietici e tornare alla cartina pre-1991. L’Ucraina è il primo tassello del puzzle. Domani potrebbe toccare alla Polonia o alla Finlandia”.
Dopotutto la cronistoria delle tensioni fra Mosca e Kiev degli ultimi anni, con una guerra mai davvero interrotta nel Donbas, è intrisa di revisionismo storico. Solo nel luglio scorso sul sito del Cremlino compariva un saggio di 5000 parole, firmato dal presidente in persona, dal titolo “Sull’unità storica dei popoli russi e ucraino”. Nei mesi successivi, sulla stampa governativa e in occasioni pubbliche, il Cremlino non ha mancato di preparare il terreno ideologico per un’eventuale azione militare contro l’Ucraina, fino all’inquietante accusa di “genocidio” mossa da Putin al governo di Kiev.
Dice Zubov: “Putin sta preparando il Paese a una guerra, scopriremo presto se militare o solo di propaganda. Di certo vuole indietro “la sua vecchia Ucraina”, non si accontenta di controllarne solo una parte. La liquidazione di Memorial è un primo passo verso il ritorno a uno Stato semi-totalitario, con un’attitudine fascista nella gestione dell’economia e un approccio comunista per gli affari interni”.
Non è la prima volta che Putin fa ricorso alla storia per giustificare un nuovo corso. In questo il presidente russo si mette sulle orme dell’omologo cinese Xi Jinping, che meno di due mesi fa ha presentato al mondo la terza “risoluzione sulla storia” del Partito comunista cinese, riscritta, da Mao a Deng.
Di questo sforzo revisionista del governo russo, spiega Zubov, “Memorial era l’ostacolo più fastidioso”. “Solo due giorni fa il presidente, lo storico Yuri Dmitriev, è stato condannato di nuovo a quindici anni di carcere. Si chiude oggi un ciclo di regressione autoritaria iniziato da Putin nel 2020 con l’emendamento alla Costituzione sui limiti del mandato presidenziale”.
La memoria muore, la Russia sovietica torna a vivere e diventa vettore della diplomazia di Mosca. Con una “virus-diplomacy” che permette al Cremlino – nonostante i disastrosi risultati della campagna vaccinale russa – di mettersi al timone di alleanze a geometrie variabili.
Da una parte il Brics insieme a Cina, Brasile, India e Sud Africa: in queste settimane a Cape Town, epicentro mondiale della variante Omicron, Putin ha inviato un team di scienziati per “insegnare come si fa” alle delegazioni degli alleati. Dall’altra l’“Estero vicino”, le repubbliche ex sovietiche del Csi, dal Kazakistan alla Bielorussia di Alexandr Lukashenko, riunite martedì alla corte di Putin a San Pietroburgo nel trentesimo anniversario dell’organizzazione.