In queste ore molto si discute se non sia il caso di eleggere un capo dello Stato con un mandato di un paio d’anni per fare in modo che il Parlamento “tagliato” nella composizione elegga un Presidente più rappresentativo del nuovo assetto politico-istituzionale. Ma scatenerebbe un risultato paradossale
Omicron sarà anche meno letale, tuttavia i quasi ottantamila contagiati e i 200 morti – cifre che comunque sono altamente inferiori a quelle del resto d’Europa – segnano un record e mettono paura. Significa che l’emergenza sanitaria è lungi dall’essersi esaurita e che la pandemia continuerà ad essere nostra compagna di viaggio almeno lo per tutto il 2022.
Un Paese serio affronta questa situazione rafforzando le proprie istituzioni garantendo stabilità e affidabilità. Come si assicurano queste condizioni nel tornante dell’elezione del nuovo capo dello Stato? Il primo riflesso delle forze politiche italiane è stato di conservazione: visto che Mario Draghi a palazzo Chigi funziona ed è stato scelto da Sergio Mattarella manteniamo entrambi nel posto che occupano fino al termine naturale della legislatura, poi si vedrà. Uno scenario che alcuni continuano a vagheggiare ma che cozza contro il no alla rielezione dell’attuale Presidente della Repubblica. Di fronte al quel reiterato diniego, il sistema politico è diventato un formicaio impazzito. E quei due capisaldi, stabilità e autorevolezza, sono diventati chimere.
La stampa internazionale (in anteprima) e la grandissima parte dei leader di partito (di rimbalzo) hanno reagito con un’altro riflesso condizionato di conservazione alle osservazioni del presidente del Consiglio riguardo la sua presunta autocandidatura. Peraltro molti che lo hanno criticato sono gli stessi che ne reclamavano un intervento preciso sul tema. Uno di questi riflessi di conservazione: che la maggioranza che regge l’esecutivo di larghe intese e quella che deve eleggere il successore di Mattarella devono coincidere, altrimenti salta tutto. Considerazione di fatto più di buonsenso e concretezza che venata di strumentalità e/o autoreferenzialità politica. Ma tant’è. La reazione delle forze politiche è stata: Draghi rimanga al posto suo, al resto pensiamo noi.
Il punto dolente, comunque, resta sempre lo stesso: quali sono le condizioni che rendono effettiva la stabilità necessaria a fronteggiare l’emergenza sanitaria e quella economico-sociale rappresentata dalla valanga di riforme che l’Italia deve “mettere a terra” per guadagnarsi i fondi del Recovery. Con la brutalità che in questi casi è opportuna, va detto che è difficile intravedere stabilità e autorevolezza in un quadro politico che vede arrivare al Colle un Presidente che lacera la maggioranza di larghe intese e un premier che va avanti come se nulla fosse.
Per risolvere il busillis, in in queste ore molto si discute se non sia il caso di eleggere un capo dello Stato con un mandato “a termine” (un paio d’anni) per fare in modo che il Parlamento “tagliato” nella composizione elegga un Presidente, diciamo così, più rappresentativo del nuovo assetto politico-istituzionale. Più che una soluzione, un arabesco che oltre a scontrarsi con evidenti profili di incostituzionalità, non garantirebbe la saldezza del bastone di comando a palazzo Chigi: il vero e unico mandato a termine risulterebbe quello del presidente del Consiglio. Bel paradosso.
In realtà stabilità e autorevolezza possono venire fuori solo da un patto politico di forte ampiezza che tocca ai partiti, se ne sono capaci, stipulare per mettere in sicurezza il Paese. E in quest’ottica non c’è dubbio che la stabilità che maggiormente serve – visto che comunque nel 2023 si andrà a votare e ne scaturirà una maggioranza decisa dai cittadini che a sua volta esprimerà delle leadership per il governo – è quella garantita dal un presidente della Repubblica saldo nel suo mandato, internazionalmente rispettato, punto di riferimento per sette anni per suturare la crisi di sistema che ci attanaglia. Un identikit che si attaglia perfettamente al profilo di SuperMario e molto meno a quello di Silvio Berlusconi. In attesa di un altro candidato che esca come un coniglio dal cilindro.