Il leader cinese ha attratto Tesla attraverso una serie di regole ad hoc. L’obiettivo per Pechino era rendere la propria industria all’avanguardia, mentre per l’azienda l’opportunità del mercato asiatico era enorme. La gelosia delle società rivali rischia però di mettere i bastoni tra le ruote
Quello tra il patron di Tesla, Elon Musk, e il leader cinese, Xi Jinping, rientra tra i matrimoni stipulati per il mero interesse personale piuttosto che per amore, più comunemente noti come matrimoni “di convenienza”. Tuttavia, come nella maggior parte di questi casi, le crisi sono dietro l’angolo e il rischio che l’accordo salti è concreto. A riportare la loro liaison è il Wall Street Journal, che fa partire la storia dal 2018, nell’apice della guerra commerciale con Donald Trump che tanto male ha fatto all’economia di entrambi i Paesi.
A compiere il primo passo è stato Xi, che ha iniziato a corteggiare l’imprenditore sudafricano per convincerlo a investire e produrre in casa sua. Di lui colpiva il carattere, molto fuori dagli schemi in una società così conformista come quella statunitense. Insomma, appariva la persona giusta con cui dialogare, dato il suo spirito libero e senza padroni a cui dover render conto. Così, per permettere alla Cina di diventare il fulcro dell’industria mondiale, il presidente cinese si è rivolto a Musk affinché potesse trainare lo sviluppo cinese in un settore, quello delle automobili elettriche, che stentava a dare i risultati sperati.
In sintesi, bisognava convincere i consumatori che l’alternativa all’auto a benzina c’era ed era valida. Per riuscirci, però, era fondamentale alzare il livello di qualità della produzione. Per utilizzare la metafora di colui che ha trattato con Musk, Miao Wei, avere Tesla in patria è come lanciare un pesce gatto predatore in uno stagno pieno di pesci pigri.
Attraverso la vendita di terreni a buon mercato, prestiti a basso interesse e incentivi fiscali (concessioni impossibili per le altre aziende straniere), Pechino sperava dunque che Tesla potesse non soltanto investire in Cina ma anche essere un esempio per le aziende automobilistiche nazionali ancora molto indietro rispetto alla concorrenza. L’offerta è stata colta al volo da parte dal proprietario dell’azienda, che sperava di poter iniziare a produrre a più basso costo le sue auto elettriche. Perciò, a luglio di tre anni fa, venivano messe le firme sulle carte del contratto matrimoniale e a Shangai venne costruito il loro nido d’amore.
Più nello specifico si trattava di uno stabilimento, il Tesla Gigafactory 3, grande 864.885 m2, capace di offrire lavoro a 2mila dipendenti e di generare 345 milioni di dollari in tasse da pagare a partire dal 2023. Il patto d’amore è stato suggellato con il lancio del veicolo Tesla Model 3 made in China, partorita nel 2019. L’obiettivo che il centro si era posto, d’altronde, era di quelli ambizioni: raggiungere le 500mila auto prodotte in un anno (quante ne ha prodotte nell’intero 2020 in tutto il mondo). Un traguardo che l’azienda sarebbe sul punto di tagliare, ma le stime riportate dal think thank EV100 sono state smentite da un rappresentante dell’azienda stessa, che ha precisato come la produzione si riferiva al solo terzo trimestre.
Questioni di numeri che in ogni modo non cancellano gli ottimi risultati ottenuti. A settembre la produzione aveva superato le 56mila auto elettriche, mentre in quello successivo ne sono state prodotte 54.391, di cui 40.666 destinate all’export, il massimo exploit dal 2018. Per il più alto dirigente di Tesla in Cina, Tom Zhu, l’azienda avrebbe raggiunto il 90% di approvvigionamento domestico, procurandosi così tutti i materiali necessari sul suolo cinese e abbattendo di gran lunga i costi. D’altronde, come aveva sottolineato lo scorso anno Musk, riuscire a trovare tutti i pezzi senza importarli “fa una differenza enorme sul costo del veicolo”.
In questo senso, sempre nell’ottobre di quest’anno, Tesla ha annunciato che a Shangai, oltre al centro di produzione, verranno costruiti un centro di ricerca e un centro dati. Per questo l’azienda con sede negli Stati Uniti ha inviato ingegneri per formare i lavoratori cinesi, trasferendo il proprio know-how sull’intero processo di produzione. Segno di come la relazione stava procedendo a gonfie vele.
All’inizio del loro rapporto, il legame iniziava a strutturarsi e l’amore era talmente travolgente che il premier Li Keqiang voleva concedere a Musk la carta d’identità per i residenti stranieri. Le parti quindi si iniziavano ad accorgere del vantaggio che il matrimonio stava portando ad entrambe. L’arrivo di Tesla ha fatto sì che altre aziende cinesi potessero rialzare la china. È il caso della NIO, che proprio quando sembrava sul punto di fallire ha visto un rialzo delle azioni nell’aprile dello scorso anno. Allo stesso modo, anche Li Auto e XPeng. Tutte e tre insieme dovrebbero raggiungere le 270mila auto elettriche, contro le 12mila registrate nel 2018. “Prima di Tesla, nessuno credeva che un marchio cinese potesse interessare”, ha confermato Michael Dunne, a.d. di Zozo Go ed ex dirigente alla General Motors, prevedendo che le vendite complessive in Cina, tra veicoli elettrici e ibridi plug-in, saranno 3,1 milioni, il doppio rispetto al 2020.
Alla luce di ciò niente e nessuno sembrerebbero in grado di mettersi in mezzo a Elon Musk e Xi Jinping. Ma, c’è un grande ma che aleggia sopra la loro storia. La rivisitazione delle regole conseguita ad hoc per l’imprenditore sudafricano non è affatto piaciuta ai suoi omologhi cinesi, che devono sottostarei ai rigidi paletti imposti dal governo centrale. In molti quindi non vedono Tesla di buon occhio per il trattamento speciale che riceve e stanno iniziando a pressare le autorità affinché tutti siano soggetti alla stessa regolamentazione.
A marzo scorso, la società di sicurezza informatica 360 e SAIC Motor Corp. (Shangai Automotive Industry Corporation), azienda leader dei veicoli statali, hanno cominciato a chiederei ai legislatori di affrontare i problemi di sicurezza nazionale dovuti alla presenza di aziende di macchine elettriche straniere. Una mossa che, neanche a sottolinearlo, vede Tesla come maggiore indiziata. La gelosia delle aziende rivali nasce dalla questione del trattamento dei dati, su cui il governo centrale cinese ha adottato una stretta per le grandi aziende. Per il segretario e presidente della SAIC, la raccolta, l’utilizzo e l’archiviazione dovrebbe essere compito del partito comunista.
Pechino si è trovata perciò spalle al muro e di fronte a una dura decisione. Da una parte la sua autorità, dall’altra il rischio di incancrenire i rapporti con Musk e il conseguente rischio di separazione. Naturalmente, Pechino ha scelto la prima: per questo ha imposto un limite nelle basi militari alle macchine elettriche prodotte da Tesla, così come in altri luoghi strategici. L’azienda statunitense dovrà anche conservare tutti i documenti digitali dei propri clienti all’interno della Cina, oltre a chiedere l’approvazione prima di aggiornare dei software sui veicoli. Un’altra legge, entrata in vigore il primo novembre, dovrebbe limitare ancor di più la capacità dell’azienda di raccogliere i dati dei consumatori. L’amore, da unico, è diventato mera convenienza.
“L’ampia regolamentazione dei dati aveva lo scopo, almeno in parte, di affrontare l’escalation del dibattito pubblico su Tesla”, ha affermato Paul Triolo, a capo della politica tecnologica della Eurasia Group, una società di consulenza con sede a New York ma che intrattiene fitti rapporti con la Cina. A infastidire ancor di più le aziende concorrenti è stata la decisione del governo di aiutare le case automobilistiche che producevano più auto elettriche, mentre quelle che non raggiungono determinati livelli si vedono costrette a chiedere crediti a quelle più floride. A beneficiare più di tutte è stata ovviamente l’azienda di Musk, che ha utilizzato i risparmi derivanti dai fornitori nazionali per mantenere bassi i costi così da permettere ai compratori di usufruire dei sussidi pubblici. Ad esempio, la versione sportiva del Model Y costa meno di 300mila yuan, che al cambio sono circa 47mila dollari. Parecchi soldi, ma non così tanti da rendere il prodotto meno appetibile sul mercato.
Eppure, nonostante l’esser accomunato a tutte le altre aziende, Musk non si è mostrato impavido come in altre situazioni. Non si è sentito una prima donna – come al principio del rapporto con Xi – e ad aprile ha chiesto scusa per non essersi adeguato prima alle leggi nazionali sul trattamento dei dati ed ha lodato il Paese per la sua “sorprendente” prosperità economica, “soprattutto nelle infrastrutture”. A settembre, intervenendo in videoconferenza durante un incontro sulla versione alternativa del web promossa dalla Cina, Musk ha addirittura affermato come “in Tesla siamo lieti di vedere una serie di leggi e regolamenti che sono stati rilasciati per rafforzare la gestione dei dati”.
Tutt’altro atteggiamento rispetto a quello riservato al presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, a suo dire un burattino nelle mani dei sindacati. Se in America Elon Musk appare in un modo, in Cina è tutt’altro. Dopo l’accusa ricevuta al salone dell’auto da un autista, che denunciava dei problemi ai freni in seguito a un incidente e per cui si era esposta anche l’agenzia di affari legali cinese tacciando l’azienda di arroganza, Musk ha chiesto scusa pubblicamente. “Faremo del nostro meglio per imparare le lezioni di questa esperienza”, ha scritto su Twitter. Un problema simile si era presentato due mesi dopo, quando l’azienda statunitense si è trovata costretta a ritirare 285mila auto Model 3 e Model Y a causa di un aggiornamento sulla guida automatica, che poteva essere attivata accidentalmente dal conducente provocando un’accelerazione improvvisa.
Per gli analisti, il modo di comportarsi di Musk non beneficerà all’azienda nel lungo termine. Se ad oggi Tesla rappresenta il 15% del mercato dei veicoli elettrici cinesi, entro la fine del decennio questa percentuale si sarà dimezzata a favore delle altre aziende concorrenti, che stanno lentamente riconquistando il terreno. Da un sondaggio sottoposto ai consumatori, è emerso come Tesla sia tra quelle società da evitare.
Qualche minimo dubbio sul matrimonio cinese, però, sta iniziando a sorgere anche a Musk. Un tweet apparso a inizio novembre sul suo profilo con la citazione di un antico proverbio cinese intitolato con la parola “Umanità” ha fatto correre le voci. Per molti, sarebbe una dichiarazione riservata alla situazione di Taiwan, in contrasto aperto con la Cina, anche se il Ceo ha cercato di mistificare il messaggio aggiungendo la poesia scritta probabilmente dal principe dello Stato di Wei durante l’epoca dei Tre Regni (220-280 a.C.), Chao Zhi.
Per quanto le scaramucce tra i due (ex?) innamorati non accennino a smettere, il matrimonio tra Musk e Xi è complicato ma sembrerebbe andare avanti. Ad entrambi appariva vantaggioso legarsi all’altro e la convinzione rimane tale anche adesso. Tesla si è aperta a un mercato enorme, seppur fortemente regolamentato e controllato, mentre Xi sembrerebbe aver dato la spinta necessaria per permettere al settore di camminare con le proprie gambe. Uno aveva bisogno dell’altro e d’altronde il matrimonio è stato siglato per questo. Se proprio vogliamo andare a vedere chi dei due ci ha guadagnato sembrerebbe essere Pechino dato che, come ha ricordato Bill Russo, fondatore della società di consulenza Automobility con sede a Shangai, “il gioco della Cina non è far vincere Tesla. Il gioco della Cina è far competere l’industria nazionale”. Obiettivo raggiunto, con buona pace di chi credeva che fosse vero amore.