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Una relazione sbilanciata. I numeri degli investimenti cinesi in Italia (e viceversa)

Due rapporti della società olandese Datenna evidenziano l’assenza di reciprocità e la forte attenzione di Pechino (non corrisposta) verso i settori strategici in Europa. Servono regolamenti per monitorare le joint venture, avvertono gli esperti

In una fase in cui economicamente e commercialmente è “più legata che mai” alla Cina, l’Unione europea si è dotata sia di un meccanismo di screening degli investimenti esteri sia di un regolamento sul controllo delle esportazioni. L’obiettivo è chiaro: aiutare gli Stati membri a vigilare sugli investimenti ma anche a evitare che finiscano all’estero, e in mani sbagliate, per esempio tecnologie dual-use sulla cui ambiguità punta forte la Cina, con la sua politica di “fusione militare-civile”, per progredire nella sfida con gli Stati Uniti. È anche da qui, riducendo le dipendenze oltreché i rischi dall’esterno, che l’Unione europea vuole iniziare un percorso che la porti a diventare un attore geopolitico.

Nessuno strumento, invece, è stato messo a punto dall’Unione europea per monitorare e prevenire rischi simili derivanti dalle collaborazioni di imprese europee attive in Cina. Ciò accade in uno scenario di scarsa reciprocità nelle relazioni economiche e commerciali tra le due parti. Lo raccontano i numeri del rapporto “Monitoring EU business activity in China” realizzato da Datenna, società di intelligence economica olandese: il 32% delle prime 500 joint venture europee in Cina sono sotto una significativa influenza dello Stato cinese; nel 71% dei casi di joint venture, il partner europeo non detiene una quota di maggioranza, nel 57% ha una quota di minoranza, in oltre il 35% soltanto un terzo o meno delle azioni; trasferimenti forzati di tecnologia, legami non riportati prima con l’esercito o il governo cinese e assenza di reciprocità nella relazione tra Unione europea e Cina sono i principali rischi rilevati.

Per questo, il documento si conclude con un invito all’Unione europea a prestare maggiore attenzione alle imprese europee attive in Cina e implementare regolamenti per monitorare queste attività. Anche perché, osservano gli esperti di Datenna interpellati da Formiche.net, in generale gli investimenti europei in Cina sembrano essere concentrati in settori meno strategici se comparati a quelli cinesi nell’Unione europea. A questo si aggiunga un elemento: gli investimenti che silenziosamente intessono legami con il settore militare cinese sono difficili da scrutinare, spiegano. Basti pensare al caso di Alpi Aviation, azienda friulana produttrice di droni, sospettata dalla Guardia di Finanza di essere passata, attraverso una società offshore, nelle mani di due società statuali cinesi con “modalità opache”. Questi investimenti, spiegano da Datenna, rischiano di aggirare le normative sull’export control appena aggiornate dalla Commissione europea.

L’analisi di Datenna ha toccato più di 13.000 entità per un valore totale di investimenti di oltre 82 miliardi di euro che scorrono dall’Europa nell’economia cinese. Il settore servizi finanziari e commerciali, con oltre 24 miliardi di euro, è al primo posto degli investimenti europei. Seguono prodotti di consumo e servizi, macchinari, elettronica e apparecchi elettrici, informazione e comunicazione. A guidare la classifica dei Paesi che più investono in Cina, invece, è la Germania, con 25,8 miliardi di euro, cioè oltre il 30% del totale. Altri grandi investitori sono Paesi Bassi, Regno Unito, Francia e Italia. Nelle prime posizioni ci sono anche Svizzera e Lussemburgo, nonostante le dimensioni relativamente piccole delle loro economie.

Per quanto riguarda, invece, le acquisizioni cinesi, il settore più “popolare” tra gli investitori cinesi in Europa è dei macchinari, stando a un altro report di Datenna, il “China – EU FDI Radar”. Seguono energia, prodotti di consumo, automotive, salute, elettronica e Ict. Delle 746 acquisizioni analizzate, oltre un quarto, cioè 189, sono “tedesche”; nella classifica dei Paesi più “popolari” per le acquisizioni cinesi ci sono poi Regno Unito (117), Francia (80) e Italia (57).

Il flusso dall’Italia è pari a 8,7 miliardi di dollari in forte crescita negli ultimi 20 anni. Da sole 50 nuove entità italiane costituite in Cina nel 2004 si è passati a 85 nel 2017 e 96 nel 2018. Nel 52% dei casi si tratta di joint venture in cui l’azienda italiana ha una quota di minoranza – una percentuale inferiore rispetto ai dati che riguardando l’intera Unione europea. Il settore prodotti di consumo e servizi è oggi in cima alla classifica con ben il 65% delle operazioni totali con 5,6 miliardi di euro. Seguono trasporti e infrastrutture (1 miliardo; 12%), servizi finanziari e commerciali (666 milioni; 8%), macchinari (381 milioni; 4%), materiale automotive e trasporti (353 milioni; 4%). Sotto l’1% ci sono energia e ambiente (38 milioni) e aviazione (22 milioni).

A conferma di quanto rilevato dagli esperti di Datenna, questi numeri sono molto diversi rispetto a quelli che riguardano le acquisizioni cinesi raccontate nel report “China – EU FDI Radar”. In questo caso guidano la classifica i macchinari (18 su 57), seguono prodotti e servizi di consumo (6), materiale automotive e trasporti, elettronica e apparecchi elettrici, trasporti e infrastrutture (5). In questi casi, non distanziandosi molto dai trend europei, il 61% delle acquisizioni ha “bassa” influenza del governo cinese, il 21% “media” e il restante 18 “alto”. I settori dove la mano di Pechino è più forte sono prodotti chimici, metalli e materiali di base, materiale automotive e trasporti, trasporti e infrastrutture.

Tra le acquisizioni a “bassa” influenza del Partito comunista c’è l’affare che ha portato il Parma Calcio a essere per tre anni, dal 2017 al 2020, nelle mani della holding Desports Group; tra quelle a “media” influenza c’è quella di Patto Geodata, azienda attiva nel mercato dell’ingegneria ambientale, civile, industriale e mineraria, operativa in Italia e in decine di Paesi nel mondo, da parte del gruppo PowerChina Northwest Engineering Corporation Limited, specializzato nella fornitura di servizi di ingegneristica e costruzione; tra quelle in cui l’influenza di Pechino è “alta” ci sono l’affare che ha portato il 35% di Cdp Reti nelle mani di State Grid Corporation of China (ora sotto i riflettori di Palazzo Chigi), l’acquisizione di Edf Europa da parte di Guangdong Dongfang Precision Science & Technology e la cessione del 100% del capitale di Laboratorio Italiano Biochimico Farmaceutico Lisapharma spa a Shandong Sito Bio-Technology Co. Ltd da parte del fondo Arcadia Small Cap, gestito da Arcadia sgr, e del Fondo Finanza e Sviluppo Impresa, gestito da Azimut Libera Impresa sgr.


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