La mossa diplomatica russa suscita perplessità anche perché formulata in un periodo di crescenti tensioni, con manifestazioni non propriamente amichevoli, di tipo politico (attivismo in vari teatri africani, a partire dalla Libia), economico (le turbolenze nel settore energetico) e militare (la costante e crescente pressione ai confini con l’Ucraina). Il commento del gen. Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa
Putin sa benissimo che le proposte formulate da Mosca, sia di un trattato con gli Usa, sia di un accordo con i Paesi della Nato, a prescindere da una eventuale e del tutto improbabile accettazione da parte di Biden, non hanno la minima possibilità di ottenere la necessaria ratifica dal Senato Usa; appare dunque doveroso domandarsi il perché di questa mossa diplomatica.
Una prima riflessione nasce dalla scelta di proporre due testi diversi, uno per un documento bilaterale con gli Stati Uniti e un secondo tra la Russia e gli Stati membri dell’Alleanza Atlantica, come se gli Usa non ne facessero parte: appare qui evidente una volontà di differenziazione, volta a creare una crepa nella solidarietà Nato, aspirazione che costituisce una costante della politica estera di Mosca, fin dai tempi della guerra fredda.
A prescindere dai contenuti, la mossa diplomatica russa suscita perplessità anche perché formulata in un periodo di crescenti tensioni, con manifestazioni non propriamente amichevoli, di tipo politico (attivismo in vari teatri africani, a partire dalla Libia), economico (le turbolenze nel settore energetico) e militare (la costante e crescente pressione ai confini con l’Ucraina).
L’iniziativa apparirebbe più ragionevole se simili proposte venissero formulate a valle di una sequenza di gesti distensivi, in modo da creare un’atmosfera meno tesa che favorisse l’apertura di un dialogo, a seguito del quale si potrebbe procedere alla formulazione di una bozza di accordo, con un formale articolato. In questo caso è come se si volesse partire dall’ultima casella, per andare a ritroso, il che tradisce una sorta di volontà ultimativa, volontà implicitamente confermata dai contenuti degli articoli proposti.
Venendo dunque ai contenuti, come ha giustamente fatto osservare il Segretario Generale della Nato Stoltenberg, il principio ispiratore appare quello della volontà di farsi riconoscere una rinnovata sfera di influenza; si tratta di un concetto che sembrava bandito con la fine della guerra fredda e che invece viene implicitamente riaffermato nei confronti dei Paesi nati dalla disgregazione dell’Unione Sovietica, cui non si vuole riconoscere una piena libertà di azione. In pratica si tratta di una riedizione della dottrina della “Sovranità Limitata” di Brežneviana memoria, dottrina con cui venne tra l’altro giustificata l’invasione della Cecoslovacchia dell’agosto 1968.
Si può speculare se questo atteggiamento sia una manifestazione del timore fobico della Russia di essere accerchiata ed è giusto sottolineare come gli Stati Uniti, e la Nato nel suo complesso (e lo stesso per certi versi si può dire dell’Unione Europea), almeno a partire dal 2008 non abbiano fatto molto per attenuare questi timori: è esemplare al riguardo quanto accadde nell’aprile di quell’anno a Bucarest, al vertice Nato, in cui gli Usa e Uk fecero di tutto per formalizzare un invito all’adesione per Georgia e Ucraina, trovando un’opposizione determinata da parte di Francia, Germania e Italia; il testo del comunicato finale di quel vertice venne in qualche modo annacquato, ma al paragrafo 23 si afferma comunque che in un futuro indeterminato Georgia e Ucraina entreranno a far parte dell’Alleanza.
Tornando ai testi delle proposte di Mosca, si può osservare che il concetto descritto viene ulteriormente ampliato, facendo retrocedere il calendario al 27 maggio del 1997 e congelando la situazione strategica a quella data, cioè a prima dell’invito all’adesione alla Nato di Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca, di fatto ponendo limiti alle decisioni sovrane di tutti i Paesi che avevano precedentemente fatto parte del Patto di Varsavia.
Queste poche osservazioni bastano già a dimostrare come, al di là degli aspetti politico-istituzionali che rendono non praticabile la sottoscrizione di questi accordi, pesanti motivi sostanziali rendano irricevibile la proposta russa.
E allora perché questa proposta è stata fatta? Si può rispondere come ha fatto il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov che si tratta di una base negoziale su cui avviare il lavoro delle diplomazie; non si può tuttavia scacciare il sospetto che una mossa del genere possa essere presto o tardi sbandierata come un alibi per provare la propria pretesa buona volontà, platealmente frustrata dall’atteggiamento espansionistico delle potenze occidentali, per frenare il quale si è stati costretti, obtorto collo, a ricorrere alla forza militare.
Speriamo che non sia così, ma per rendere concreta questa speranza è indispensabile che non venga meno la solidarietà del mondo occidentale, mettendo in secondo piano miopi interessi nazionali.