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Il vero obiettivo dello sciopero generale? Draghi. Cazzola spiega perché

L’obiettivo dello sciopero proclamato da Cgil e Uil per il 16 dicembre non è la legge di Bilancio, ma il presidente del Consiglio, per quello che rappresenta e soprattutto perché è il garante di una maggioranza di cui fanno parte forze in via di redenzione dalle eresie populiste, sovraniste e antieuropee. Il commento di Giuliano Cazzola

Stupore e incredulità: sono state queste le reazioni spontanee provocate dalla decisione della Cgil e della Uil di proclamare – senza la consorella Cisl – uno sciopero generale per il prossimo 16 dicembre, avendo per di più  a disposizione un tempo troppo breve per organizzarlo in modo adeguato (il fatto che, a Roma, il comizio si tenga in Piazza del Popolo non è di  buon auspicio per la partecipazione).

In sé il ricorso ad una astensione generale dal lavoro non è giustificato neanche sul piano dei riti che accompagnano da sempre queste iniziative. A leggere, infatti, il comunicato di Cgil e Uil  – a parte l’omaggio farisaico reso a Mario Draghi e al suo governo – si  avverte un disaccordo molto ampio sui contenuti del disegno di legge.

In questi casi delle organizzazioni sindacali che si rispettano sarebbero andate subito allo scontro; il tempo ci sarebbe stato, visto che il governo ha cincischiato con il testo per settimane, facendo lievitare il numero degli articoli e ricorrendo spesso alla prassi delle mance. Era stata, infatti la Corte dei Conti che, durante l’audizione in Commissione Bilancio del Senato, aveva spulciato le norme scoprendo che: “Numerose sono le misure alla base dell’aumento della spesa: nel 2022 sono 172 le disposizioni del disegno di legge di bilancio che ne comportano (in termini di indebitamento) una espansione. Di queste – aveva aggiunto la magistratura contabile – le prime 10 per dimensione finanziaria assorbono oltre il 50% degli incrementi; per il resto si rileva un’accentuata polverizzazione degli interventi, 64 dei quali presentano importi uguali od inferiori ai 10 milioni’’.

Le confederazioni, invece, si sono messe a trattare su singoli punti, in particolare sulle pensioni e il fisco, raggiungendo consensi parziali o comunque lasciando intravvedere distanze non incolmabili sia pure nell’ambito di una manovra di bilancio evidentemente di transizione, ma talvolta dissociata dagli obiettivi del Pnrr.

Ma l’elenco delle critiche al governo non si giustifica alla luce delle valutazioni che hanno portato ad una rottura a freddo. Il governo viene criticato non solo per quanto è contenuto nel Ddl, ma anche per quello che non c’è perché non c’era fin dall’inizio. Si prenda, ad esempio, quella pagliacciata del decreto anti-delocalizzazioni, di cui Cgil e Uil si accorgono solo ora che non aveva trovato spazio nella manovra. Peraltro quella misura era stata pensata dai settori della sinistra politica e sindacale per la vicenda di una fabbrica, la Gkn, che pare stia trovando una soluzione senza bisogno di dichiarare guerra alle multinazionali, minacciandole di “lasciare ogni speranza’’ se decidono di disinvestire in Italia. Eppure, per quanto grande possa essere la disistima nei confronti di questi gruppi dirigenti (basti pensare ai guai che hanno combinato con le polemiche nei confronti del green pass) è impossibile (anche per chi, come il sottoscritto, ha conosciuto altre epoche e personalità) ritenere che la decisione di ricorrere allo sciopero generale, in queste giornate così particolari da tanti punti di vista, sia farina del sacco di Landini e Bombardieri.

L’obiettivo dello sciopero non è la legge di Bilancio, ma il presidente del Consiglio, per quello che Mario Draghi rappresenta e soprattutto perché è il garante di una maggioranza di cui fanno parte forze in via di redenzione dalle eresie populiste, sovraniste e antieuropee e, in quanto tali, prossime ad essere abilitate a governare se l’elettorato lo vorrà. Un presidente del Consiglio che incassa uno sciopero generale dopo aver trafficato con i sindacati alla ricerca di mediazioni un po’ fini a se stesse, non è più il Cavaliere bianco che decide – e bene – da solo. Vedremo nei prossimi giorni se quella dei due sindacati “compagni di merende’’ è stata la prima mossa di un disegno più ampio.

Non è un caso, forse, che lo sciopero sia stato proclamato – come se si attendesse l’occasione buona – poche ore dopo la rottura del governo e della maggioranza sulle questioni del fisco. Il “campo largo” di Draghi non è quello di Letta e di Conte.


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