Alcuni azionisti delle varie Morgan Stanley, Citigroup, Goldman Sachs hanno chiesto ai manager di ridurre i flussi di denaro alle industrie che non rispettano gli standard climatici. Una richiesta che coglie impreparata la finanza tradizionale
La Green economy non è solo questione di proclami, manifesti, conferenze. Anche la finanza, magari più silenziosamente, si muove. E così, a nemmeno 48 ore dall’entrata in tackle del senatore Joe Manchin sul piano pandemico di Joe Biden per le infrastrutture e la transizione energetica, arriva la mossa dei grandi investitori americani, azionisti delle maggiori banche degli Stati Uniti. I soci della varie Morgan Stanley, JP Morgan, Goldman Sachs hanno infatti chiesto agli istituti di ridurre i finanziamenti alle industrie che inquinano maggiormente e sono fonte di grandi quantità di emissioni fossili.
Compito non facile, dal momento che, secondo alcune stime di Moody’s, al livello globale il sistema bancario ancora oggi eroga credito alle imprese inquinanti per migliaia di miliardi di dollari. In particolare, le istituzioni finanziarie del G20 e in via di sviluppo hanno in essere 22.000 miliardi di dollari di esposizione nei confronti delle aziende ad alta intensità di emissione di carbonio. Una cifra pari a circa il 20% dei loro prestiti e investimenti totali. Anche in Europa si muove qualcosa. La metà delle 112 istituzioni supervisionate dalla Bce stanno contemplando la definizione di obiettivi di esclusione per alcuni segmenti del mercato, ma solo una manciata di loro menziona la pianificazione attiva per guidare i propri portafogli su una traiettoria compatibile con gli accordi di Parigi.
Ora, i grandi investitori statunitensi hanno presentato diverse risoluzioni ai vari management, per tentare di dare una stretta ai flussi che non combattono l’inquinamento atmosferico. Una crociata che, oltre ai colossi citati, riguarda anche Citgroup, Wells Fargo e Bank of America. Peccato che, come scritto da Reuters, i vertici delle banche si siano rifiutati di commentare le risoluzioni degli azionisti arrivate sul tavolo dei board. “Stiamo sostanzialmente dicendo alle banche che finanziano l’industria più inquinante che è arrivato il tempo di mettere in atto gli impegni per un mondo più pulito””, ha affermato Jonas Kron, chief advocacy officer di Trillium Asset Management.
Alcune risoluzioni, come quelle pervenute a Bank of America e Citigroup, chiedono addirittura di riferire su come e quando i cambiamenti climatici potrebbero portare a una svalutazione prematura di alcuni asset, come le riserve sotterranee di petrolio e gas. Non vi è alcuna garanzia che le risoluzioni vengano votate e, dunque, approvate.
C’è da dire che la frenesia da green economy ha raggiunto il suo apice proprio in questi anni, trovando spesso una finanza e un’industria tradizionale poco preparata a simili cambiamenti. Ma l’impazzimento dei prezzi del gas di queste settimane dimostra come i mercati globali non siano ancora pronti ad affrontare una transizione energetica che dovrà essere più “dolce” di quanto proclamato nei congressi internazionali, salvo avere un impatto drammatico sulle fasce più deboli della società.