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La tenzone sull’Ucraina verrà anestetizzata nel 2022. Scrive il gen. Arpino

Non ci saranno vinti e vincitori. Putin, con qualche contentino su qualcosa che già controlla, potrebbe riconquistare il favore all’interno. L’Ucraina perderebbe qualcosa che non controlla più da tempo e potrebbe aspirare a un futuro nell’Ue. Il commento del generale Mario Arpino, già capo di stato maggiore della Difesa

Ucraina al centro della tenzone. Russia e Stati Uniti i contendenti. Nato e Unione europea i coinvolti. Serbia e Bielorussia i tifosi di parte. E Cina che, al solito, sta a guardare con attenta curiosità. Ma è davvero questa la scena, o ci sono degli indizi che potrebbero farci sin d’ora scoprire che è solo una pesante sceneggiata? La mancanza di una line rossa vera e propria e la fragilità delle gambe tavolino su cui poggiano i due gomiti del braccio di ferro lasciano ancora adito, al momento, a un ampio ventaglio di lecite supposizioni.

Partiamo, innanzi tutto, da una prima serie di domande. Poi, se le risposte non saranno soddisfacenti, sarà sempre possibile porne delle altre. La prima: la Russia vuole davvero “reintegrare” l’Ucraina nella Federazione a tutti i costi? Seconda: vuole davvero l’Ucraina rimanere scissa dalla Russia a tutti i costi? Terza: sono gli Stati Uniti più interessati a mantenere il decoupling Russia-Cina od ottenere la riunificazione dell’Ucraina a tutti i costi? Abbiamo ripetuto tre volte “a tutti i costi”, e il problema per individuare le prossime mosse parte da qui.

Che la Russia di Vladimir Putin desideri ardentemente riprendersi l’Ucraina è fuori da ogni dubbio. Ma non solo: tutti i Paesi europei a suo tempo parte del Patto di Varsavia o dell’Unione sovietica rientrano nelle ambizioni di Mosca. Assieme alle motivazioni economiche e politiche, vi sono altre ragioni che hanno delle origini storiche inoppugnabili e che, a prescindere dalla struttura politica del momento (principato, zar, Urss o attuale Federazione), continuano nel tempo a condurre la massa continentale centrale in quella direzione. Le radici di questa radicata tendenza affondano nei secoli a cavallo dell’anno mille, quando Mosca era ancora una palude malsana mentre Kiev era da tempo una città fiorente, già convertita al cristianesimo grazie al contatto con la civilissima Bisanzio, ricca di basiliche, d’arte, di Principi illuminati e di fiorente commercio.

La cosiddetta “Russia di Kiev” era guardata con invidia da tutti i popoli nordici, baltici compresi, e tutt’ora i veri russi, e sopra tutto i moscoviti, considerano Kiev la madre di Mosca. La stessa Russia, senza l’Ucraina, si sente monca. Oggi, addirittura, c’è un motivo in più: Putin sa benissimo che il merito di tutta questa ascesa sin dall’anno Mille va accreditato al suo omonimo Vladimir, il Santo, gran principe di Kiev e principe di Novgorod. Fu Vladimir, seguito da altri Vladimir che gli succedettero, a dare origine all’espansione combattendo sul Baltico, poi contro i Bulgari, poi ancora in Galizia e contro l’impero bizantino, conquistando la Crimea. Si può senz’altro affermare che le giustificazioni storiche ci sono e abbondano, ma non è affatto detto che Putin ritenga conveniente procedere subito in questa direzione. Forse per ora gli basterebbe qualche tacita garanzia su Donbass e Crimea. La situazione certo in questo momento gli è favorevole, ma ne potrebbero arrivare di migliori, ed a minor costo politico-militare.

Ma c’è di mezzo un altro Vladimir, che non la vede affatto come il suo omologo Putin. Si chiama Vladimir Zelensky, ed è l’attuale presidente dell’Ucraina, che ha risposto alle manovre russe con una nota piuttosto decisa: “la Russia cerca di intimidire Kiev creando un ambiente minaccioso con schieramenti militari e possibili provocazioni ai confini”. Prima ancora, di fronte al parlamento il capo delle forze armate ucraine, generale Ruslan Jomchak, aveva parlato di minaccia alla sicurezza militare, denunciando la presenza nel Donbass di “28.000 separatisti filorussi combattenti, supportati da più di 2.000 istruttori e consiglieri militari russi”. “Siamo pronti”, aveva continuato, “a dare una risposta adeguata”. Sarà vero? Per ora, c’è tutta un’escalation di botta e risposta, alla quale nemmeno gli Stati Uniti si stanno sottraendo.

Lloyd Austin, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, avrebbe assicurato il collega ucraino Andrei Taran che il suo Paese “non lascerà sola l’Ucraina in caso di incremento delle minacce russe”, mentre il presidente Joe Biden avrebbe rassicurato telefonicamente Zelensky, confermando un “sostegno incrollabile”. La Russia risponde per via diplomatica, cercando di sviare il discorso delle minacce e moderando i toni. Nonostante la forte tensioni e i movimenti militari, la questione al momento sembrerebbe ancora saldamente nelle mani della diplomazia, il che significa che qualcosa di “non catastrofico” certamente accadrà. La Russia potrebbe fare qualche passetto avanti sul piano locale, l’Ucraina perdere qualcosa ma guadagnarci in garanzie e tranquillità, mentre gli Stati Uniti, che hanno problemi più gravi, potrebbero guadagnarci (e non poco) sul piano globale. Dopo cinque anni, non è escluso che questa apparente tempesta porti verso un periodo di maggiore stabilità.

Come possiamo osservare, gli Stati Uniti cercheranno di risolvere (o di addormentare) ogni questione direttamente con la Russia, in termini bilaterali, continuando nel contempo a tenere “sedato” anche il governo ucraino con qualche centinaio di milioni di dollari (otre a quelli già forniti) per le spese riguardanti la sicurezza nazionale. La Nato, ben contenta di non aver nessun obbligo di intervento (l’Ucraina non è un alleato formale e quindi l’articolo 5 non scatta), con Jens Stoltenberg continuerà a fare da eco alle esternazioni di Biden, sapendo bene che, pur deludendo con l’inazione gli scalpitanti nuovi alleati dell’Est, farà trarre un profondo sospiro di sollievo ai vecchi alleati dell’Ovest. In quanto all’Unione europea, i grandi interlocutori, come pure le forze, sono i medesimi presenti attorno al tavolo Nato. In più, interessandosi dell’Ucraina solo a parole, sono ben lieti che gli Stati Uniti cerchino di cavarsela da soli, senza disturbare tresche e interessi europei nei confronti di Russia e Cina. Tipo, rispettivamente, il gasdotto Nord Stream 2 o la Via della Seta.

In definitiva, in questa tenzone (che verrà “anestetizzata” nel corso del 2022) non ci saranno vinti e vincitori. Putin, con qualche contentino su qualcosa che già controlla (Donbass e Crimea) potrebbe riconquistare il favore all’interno e avere interesse di aprirsi maggiormente all’Occidente. L’Ucraina perderebbe qualcosa che non controlla più da tempo e, liberata da un peso interno vincolante e difficile da sostenere, pur senza entrare nella Nato, potrebbe per ora aspirare a un futuro nell’Unione europea. Della Nato e dell’Europa abbiamo appena parlato. Gli Stati Uniti potrebbero essere gli incruenti vincitori della tenzone con un pragmaticissimo “nulla di fatto”, in quanto otterrebbero la posta più grossa, ovvero il desiderato decoupling tra Russia e Cina.

Un nuovo mondo bipolare, insomma, in cui molti del problemi si trasferirebbero, con il tempo, nell’altro emisfero.


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