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Il voto a Taiwan e Hong Kong tra affluenza bassa e ombre cinesi

Taiwan dice no a quattro referendum e rafforza l’amministrazione Tai, in lotta con Pechino. Mentre nell’ex colonia britannica va in scena un’elezione “patriottica” che rappresenta un’altra conferma della stretta su diritti e libertà

Fine settimana elettorale sia a Taiwan sia a Hong Kong con un comune denominatore: la bassa affluenza.

Tsai Ing-wen è soddisfatta per l’esito dei quattro quesiti referendari conclusi con un secco no. Ma ha “a cuore” le opinioni di chi “ha votato a favore”, ha spiegato la presidente di Taiwan commentando l’affluenza relativamente bassa.

I quesiti cercavano l’approvazione della cittadinanza per la rilocazione di un terminale di gas naturale nei pressi della barriera corallina di Datan; il divieto di importare carne statunitense trattata con ractopamina; l’attivazione della centrale nucleare di Lungmen e la possibilità di far coincidere i futuri referendum con le elezioni generali.

Il Partito democratico progressista “ha portato la discussione sul territorio che lo favorisce maggiormente, quello identitario”, commenta il manifesto. “Un ‘no’ alla carne suina statunitense significava dunque fare un favore a Pechino. Si è insistito per esempio sul fatto che senza l’import dagli Usa si sarebbe dovuti ricorrere alla carne cinese, anche se in realtà oltre il 90% dei consumi deriva da produttori locali”. L’amministrazione Tai esce rafforzata. Ma Guomindang, invece, indebolito. “Il neo presidente del partito, Eric Chu, esce sconfitto visto che non è riuscito a prevalere in neppure un quesito”, racconta il giornale. “Guadagna invece popolarità il sindaco di Nuova Taipei Hou Yu-ih, che si è schierato contro la posizione del suo partito sul nucleare. In molti, nel Gmd, guardano a lui come una possibile ancora di salvezza”.

Come detto, si è votato anche a Hong Kong per il rinnovo dei 90 seggi del Consiglio legislativo che prenderanno servizio a partire dal primo gennaio 2022. Anche in questo caso l’affluenza alle urne è rimasta bassa per tutta: si è recato alle urne poco più del 30% degli aventi diritto. Il nuovo Consiglio “aumenterà l’efficacia amministrativa della Regione amministrativa speciale e avvierà un nuovo capitolo per il buon governo”, ha dichiarato il capo dell’amministrazione locale Carrie Lam al termine della giornata di voto.

Commentando le elezioni “patriottiche” come da definizione di Pechino ma tenutesi “in un clima di tensione”, China Files scrive: “Nei giorni precedenti il governo aveva inviato messaggi di testo ai cittadini esortandoli a votare, mentre il fronte pro-democrazia aveva invitato le persone a boicottare le urne in segno di protesta. A Hong Kong l’astensionismo è diventato un crimine così come lo è incitare qualcuno a non votare. Secondo quanto riferito dalle autorità, nel periodo precedente alle elezioni infatti, almeno 10 persone sono state arrestate con l’accusa di aver esortato a votare scheda bianca, comprese persone che avevano ripubblicato post sui social media”. È tutto frutto della stretta di Pechino sulle libertà dell’ex colonia britannica. Una mossa che però ha causato il tasso di affluenza alle urne più basso dal ritorno del Porto profumo al controllo cinese.

E poco dopo la chiusura delle urne a Hong Kong e in linea con i recenti sforzi di piegare il concetto occidentale di democrazia ai desiderata del regime comunista di Pechino, l’Ufficio informazioni del governo cinese ha pubblicato il libro bianco intitolato “Sviluppo democratico a Hong Kong nel quadro ‘Un paese, due sistemi’”, un testo che ripercorre la nascita e lo sviluppo della democrazia nella Regione amministrativa speciale. Il documento spiega che i 156 anni di dominio britannico nella Regione amministrativa speciale (1841-1997) hanno impedito la costruzione di un assetto democratico, la cui costruzione è iniziata formalmente nel 1997, anno in cui Pechino ha ottenuto nuovamente la sovranità sull’area. La decisione di Pechino di emanare la Legge sulla sicurezza nazionale e di revisionare il sistema elettorale locale è stata motivata dall’esigenza di “ristabilire l’ordine” e di tutelare la democrazia dagli “agitatori anti-cinesi e dai loro gruppi di supporto”, sottolinea il testo.


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