Al Transatlantic Forum del Centro Studi Americani idee e proposte per navigare la crisi in Ucraina. Putin invaderà? Cosa vuole e cosa teme davvero il Cremlino? E l’Italia come si muoverà? Dibattito con diplomatici ed esperti
Invade o non invade? Non c’è un pronostico unanime tra gli esperti di Russia sull’esito della crisi in Ucraina. Tranne un minimo comune denominatore: finché c’è una via negoziale, va percorsa. Uno sguardo oltre la cronaca alle vicende sulla frontiera est-europea è arrivato dalla sesta edizione del Transatlantic Forum on Russia, conferenza del Centro Studi Americani che ogni anno raduna a Via Caetani politici, accademici e analisti per fare il punto sui rapporti tra Russia e Nato.
Un appuntamento che quest’anno cade in quella che il presidente del centro Gianni De Gennaro chiama “contingenza critica”. Con più di centomila truppe a poche decine di chilometri dal confine ucraino, la Russia di Vladimir Putin potrebbe presto trovare un pretesto per invadere, avvisa l’intelligence americana. Della posta in gioco sembrano consapevoli l’amministrazione Biden e la diplomazia americana, che tramite l’incaricato d’affari ad interim a Roma Thomas Smitham ha lanciato un monito eloquente al Csa: “La Russia sta cercando un pretesto per un’invasione attraverso la disinformazione e il sabotaggio, noi abbiamo un impegno sacro con i nostri alleati”. L’Europa non dà la stessa impressione, concordano gli ospiti del Csa moderati dalla vicepresidente dell’Aspen Institute Marta Dassù.
Fiori nei cannoni: “L’Europa deve realizzare che contrapporre il soft power all’hard power non funziona – nota il presidente di Ispi Giampiero Massolo – ben venga l’inizio di un negoziato, purché non sia sotto ricatto”. Non si negozia con i missili puntati, spiega l’ambasciatore. Né la Nato può firmare cambiali in bianco, come la richiesta russa di quella promessa scritta, nero su bianco: l’Ucraina non entrerà mai nell’alleanza. “Siamo sicuri che la minaccia sia veramente questa? Che l’Ucraina sia vicina ad entrare nella Nato?”.
L’obiettivo russo, dicono in coro gli ospiti del panel, è più ambizioso: ridefinire il quadro di sicurezza europeo, da cima a fondo. “Una nuova Yalta”, spiega l’ambasciatore Pasquale Terracciano, che di Russia si intende da tempo avendo appena lasciato la guida della missione italiana a Mosca per prendere le redini del nuovo dipartimento per il “Soft power” alla Farnesina. “Ovviamente non possiamo accettarlo. Ma dire no non è sufficiente: l’Occidente deve insistere sul dialogo e semmai chiamare una nuova conferenza di Helsinki”.
Dopotutto riporre le armi conviene anche al Cremlino, riflette Andrey Kortunov, direttore del Consiglio russo per gli affari internazionali. “Non credo che la Russia stia preparando un’operazione militare in Ucraina. Il bilancio costi-benefici sarebbe negativo, occupare quel Paese è un’impresa troppo ardua”. Gli fa eco Charles Kupchan, noto analista americano dalle fila del Council on Foreign Relations. “Per me è difficile immaginare una chiara opzione militare che dia alla Russia ciò che vuole. Anche un’annessione non risolverebbe il vero problema, cioè la disposizione geopolitica dell’Ucraina. In effetti, lo aggraverebbe, perché trascinerebbe per strada gli ucraini”.
In attesa della prossima mossa del Cremlino, l’Europa rimane attore non protagonista della partita. E anche, qui il paradosso, quello che ha più da perdere. Uno scontro frontale con la Russia può diventare un boomerang, dice il presidente dell’Aspen Institute ed ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, perché rischia di spingere l’ingombrante vicino europeo fra le braccia di un rivale non meno temibile: “Oggi Russia e Cina stanno cercando un fronte interno comune per fare i conti con le rispettive crisi interne”.
C’è però un altro rischio, più concreto a giudicare dall’orchestra stonata europea degli ultimi giorni. E cioè quello di sedersi al tavolo con la Russia in ordine sparso. Non è esente l’Italia, e non a caso la Farnesina ha preso le distanze dalla videochiamata con Putin di un gruppo di amministratori delegati delle principali aziende italiane dal tempismo quantomeno discutibile, mentre la Difesa col ministro Lorenzo Guerini ha ribadito l’impegno italiano sul fronte Est della Nato. “Questi incontri li fanno anche altri Paesi europei, ma il governo dovrebbe dire una parola più chiara sulla crisi in Ucraina”, chiosa il direttore di Limes Lucio Caracciolo. “Il nostro peso nella partita è relativa. C’è un motivo se l’Italia ha dovuto abbandonare il South Stream, mentre per il Nord Stream la Germania ha ricevuto il via libera. Ora lavoriamo sui rapporti con i partner europei, Francia e Germania in testa, e difendiamo i nostri interessi”.