Cosa si muove dietro la crisi nelle piazze nel Paese che è strategico per la logistica asiatica. Pechino tifa per la stabilità, visti i progetti in atto da 24 miliardi
Gli investimenti cinesi nella macro regione del Kazakistan sono aumentati vertiginosamente negli ultimi anni: ben 56 progetti per 24,5 miliardi di dollari. Facile capire come Pechino non gradisca manifestazioni antigovernative e movimenti filo occidentali. In sostanza, la Belt and Road Initiative ancora una volta può essere la cartina di tornasole per comprendere movimenti e alleanze anche in un settore delicato come Kazakistan, dove le proteste di piazza si stanno mescolando a valutazioni geopolitiche e relazioni tra big players.
BRI
Tra la Bri e l’Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), il governo di Xi prevede di investire 8mila miliardi di dollari in almeno 68 paesi. Uno studio di Rakkshet Singhaal intitolato “China’s International Investments Under Xi Jinping: Long Term Implications of the Belt and Road Initiative and Asian Infrastructure Investment Bank” osserva come tali iniziative potrebbero alla fine lasciare i paesi con un problema di debito che sarà insostenibile e creerà un livello sfavorevole di dipendenza dalla Cina come creditore. Ma al di là di questo aspetto, su cui già si è scritto relativamente ai casi di Malesia, Pakistan e Montenegro, spicca la “sezione” kazaka.
Astana si può dire che sia la base della Bri come dimostrato dall’imponente visita del presidente cinese Xi Jinping ad Astana nel settembre 2013, evidenziando il ruolo fondamentale del paese come trampolino di lancio della Cina verso il vecchio continente.
KHORGOS
Più in generale il fulcro di questa attività si trova nel porto asciutto di Khorgos, realizzato nel 2004 grazie a 6 miliardi di dollari frutto della cooperazione fra i due paesi. Dieci anni dopo è nata l’infrastruttura che oggi non è solo un centro di commercio transfrontaliero ma un moderno dry port multimodale. Al contempo riesce ad effettuare trasbordo rapido e riconsolidamento per containers su treni. La proprietà è cinese e kazaka in virtù di un accordo del 2017: la compagnia ferroviaria nazionale kazaka Ktz ha ceduto il 49% del terminal alle cinesi Cosco (che già ha il Pireo in Grecia) e Jiangsu Lianyungang Port Co., ma a gestire il tutto c’è kazaka Ktze-Khorgos Gateway Llp e Dp World con sede a Dubai (una contingenza sui generis in Europa, mentre in Italia i porti sono generalmente gestiti da enti pubblici).
Il Kazakistan ha la dodicesima riserva petrolifera più grande del mondo ed è vitale per la diversificazione cinese del proprio fabbisogno energetico, riducendo la sua dipendenza dalle petroliere che viaggiano attraverso lo Stretto di Malacca.
IN CARROZZA
L’ultimo progetto in ordine di tempo è targato Dy Container, che ha strutturato un treno tra Azerbaigian e Cina, passando per il Kazakistan, che aumenterà esponenzialmente i volumi cinesi attraverso il Mar Caspio e da lì verso la Georgia e la Turchia. Il porto di Aktau (Kazakistan) è il nodo strategico per raggiungere Baku.
Astana e Pechino hanno deciso in passato di emettere divieti di circolazione dei tir per alleviare la congestione del traffico ferroviario merci. La compagnia nazionale di trasporto merci del Kazakistan e la ferrovia di Urumqi hanno raggiunto un accordo secondo cui 18 treni potevano transitare liberamente ogni giorno al porto di Alashankou.
Non sono mancate le criticità sul punto, perché i commercianti kazaki hanno chiesto al loro governo di bloccare il passaggio dei treni merci cinesi verso l’Europa fino a quando Pechino non risolverà un collo di bottiglia sul confine kazako-cinese che ha lasciato migliaia di vagoni bloccati. In sostanza i kazaki temono che il governo favorisca un po’ troppo i flussi della Bri.
(Foto da Flickr – Recon Asia)