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Terrore cinese. Così il Kenya è ostaggio del debito tossico

Una petizione popolare chiede al governo di Nairobi di diffondere le carte relative al maxi-prestito per la realizzazione della ferrovia per Mombasa. Ma le autorità si rifiutano, per paura di ritorsioni contro un Paese indebitato per miliardi con Pechino

Prigionieri della Cina e del suo debito tossico. Al punto da avere paura di rivelare al mondo le clausole vessatorie a monte dei prestiti concessi dalle banche cinesi alle economie in via di sviluppo. Succede, ancora una volta, in Kenya, uno dei Paesi simbolo della trappola del debito cinese.

Negli anni scorsi il governo di Nairobi ha chiesto un maxi-prestito alla Exim Bank (la banca cinese che si occupa di finanziare i Paesi in via di sviluppo) per la realizzazione della linea superveloce da mille km che dovrebbe collegare il porto di Mombasa, nell’estremo sud del Kenya, all’Uganda. Un progetto importante, strategico per un Paese che ha bisogno come il pane di nuove ed efficienti infrastrutture. Ad oggi, però, incompleto, con il tracciato che termina nel nulla, a 468 chilometri dal confine, in un’area selvaggia.

Il problema è però un altro. E cioè che nelle more dei lavori per la nuova ferrovia, il Kenya ha dovuto versare nelle tasche del Dragone quasi 30 miliardi di scellini kenyoti, più o meno 250 milioni di dollari. E questo per un motivo molto semplice. La pandemia e il conseguente rincaro delle materie prime ha affossato parte dell’economia del Paese, il cui governo, retto dal presidente Uhuru Kenyatta, è stato costretto a chiedere una rinegoziazione dei prestiti contratti con gli istituti cinesi, tra cui quello relativo alla ferrovia per l’Uganda.

Tutto bene, anzi no. Perché sembra proprio il Kenya abbia rifiutato di rendere pubblici i citati contratti di prestito, negando il benestare a una petizione del tribunale popolare che chiedeva la divulgazione delle carte. Il tutto, affermando che i medesimi accordi per la concessione del prestito prevedano tra le clausole la non divulgazione degli stessi, pena la violazione dell’accordo e la compromissione delle relazioni tra Kenya e Cina. Nairobi è dunque ostaggio di Pechino. Non solo perché attanagliata dal debito cinese, ma anche perché terrorizzata dalle conseguenze della diffusione delle carte relative al prestito.

Lo stesso ministro dei Lavori Pubblici, Solomon Kitungu ha affermato che il rilascio dei documenti minerà addirittura la sicurezza nazionale del Kenya, “poiché i termini del contratto toccano le informazioni del governo cinese con implicazioni sulla sicurezza nazionale e sulle relazioni estere”. Tradotto, guai a svelare al mondo la natura dei prestiti cinesi, si rischia di portare alla luce un modus operandi talmente opaco da compromettere la stessa sicurezza finanziaria del Dragone.

Qualcuno però, ha avuto il coraggio di ribellarsi a Pechino e le sue banche. Come rivelato da Formiche.net, uno dei Paesi in area cinese più indebitati con la Cina è Sri Lanka, che nel corso degli anni ha accumulato verso Pechino e le sue banche obbligazioni per oltre 8 miliardi di dollari. Per un Paese dalle dimensioni ridotte quale Sri Lanka, è molto. Nelle settimane scorse il governo di Colombo, già alle prese con una crisi finanziaria acuita dalla pandemia, ha chiesto ufficialmente la ristrutturazione, ottenendo per tutta risposta un secco no. Di conseguenza, se lo Sri Lanka non dovesse garantire i rimborsi nei prossimi mesi, il Dragone tirerà fuori gli artigli e azzannerà tutto quello che di buono può offrire il piccolo Paese asiatico.

Ma ecco un inaspettato asse. Si dà il caso infatti che oltre alla Cina, un creditore di peso di Sri Lanka sia anche l’India, che certamente non è in ottimi rapporti con Pechino. Il governo di Nuova Delhi a dicembre ha prestato 1,5 miliardi di dollari a Colombo, il quale in scia alla richiesta presentata alla Cina, ne ha chiesto un’immediata rinegoziazione. Stavolta però la risposta è stata affermativa e persino accompagnata da un caldo invito a non scendere a compromessi con Pechino.

La mano tesa allo Sri Lanka è arrivata durante un incontro virtuale tra il ministro degli Affari esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar e il ministro delle Finanze dello Sri Lanka Basil Rajapaksa. In particolare l’India ha esteso la scadenza del prestito, 500 milioni su 1,5 miliardi, a tre mesi. Quello che però conta è il messaggio politico di fondo, in chiara chiave anti-cinese. Come a dire, se la Cina non aiuta Sri Lanka, lo farà l’India.



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