La Cina ha un importante accordo in corso con la kazaka Kazatomprom per importare grandi quantità di uranio. La crisi ad Astana pone Pechino in una condizione sensibile, anche per questo il Partito/Stato cerca di sfruttare al meglio il messaggio competitvo lanciato da Mosca
“Riteniamo che le misure adottate dai leader della Repubblica del Kazakistan per ripristinare la stabilità della situazione interna e avviare un dialogo pacifico nel quadro della Costituzione e del sistema giuridico siano tempestive […] Ci auguriamo che il Kazakistan possa raggiungere la stabilità della situazione interna il prima possibile, ripristinare l’ordine legale e la sicurezza pubblica e proteggere i diritti e gli interessi di tutti i gruppi etnici e religiosi del Paese”, scrive in un comunicato sulla crisi kazaka la Shanghai Cooperation Organisation – Sco, organizzazione politico-economica e securitaria eurasiatica a guida cinese.
Mentre il padre della nazione, l’autocrate Nursultan Nazarbayev fuggiva (per rifugiarsi a Dubai o forse in Cina), l’uomo che ha scelto per dare l’immagine alla sua successione, l’attuale presidente Qasym-Jomart Toqayev, ha ricevuto un messaggio di sostegno dal segretario del Partito comunista cinese, il capo dello Stato Xi Jinping. Da Pechino esce una posizione amichevole: “La Cina si oppone a qualsiasi forza straniera per tramare la rivoluzione colorate in Kazakistan” è la linea. Ossia: le proteste sono spinte dall’esterno (le “rivoluzioni colorate”), sono piani di qualche attore nemico del Paese (leggasi Occidente). È qualcosa di molto simile a quanto visto con Hong Kong; è una posizione non troppo diversa da quella di Mosca.
“Russia e Cina non permetteranno agli Stati Uniti e all’Occidente di spingere il Kazakistan in turbolenze a lungo termine”, ha commentato Hu Xijin, l’ex direttore del Global Times (organo di propaganda del Partito/Stato). In ballo, come per Mosca, c’è lo scontro tra modelli, democrazie contro autocrazie – più una serie di interessi diretti. Tuttavia la reazione cinese ai disordini in Kazakistan è andata al rallenty. I media statali ne hanno parlato a metà e il portavoce del ministero degli Esteri, che di solito tiene la linea su certe faccende, ha affermato che si trattava di un affare interno e che Pechino sperava in una rapida risoluzione ma non intendeva intromettersi come da prassi.
È possibile che la Cina sia rimasta spiazzata dalla rapidità con cui la Russia ha inviato truppe attraverso la Collective Security Treaty Organization (Csto) – dimostrazione di quanto conti per il Cremlino la situazione e quella sfera di influenza. Pechino è consapevole di non voler e (e non potere) intralciare le attività di Mosca: entrambe gestiscono organizzazioni simili, Sco e Csto; entrambe hanno come principale obiettivo la ricomposizione rapida di una stabilità in Kazakistan attraverso la quale poter tornare a tutelare i propri interessi; e possibilmente intendono farlo mandando un messaggio chiaro al resto del mondo. Sovrapporsi non è nell’interesse cinese, perché per ora l’allineamento pragamtico con i russi serve.
Il punto riguarda le direttive e le volontà di intervento del Partito/Stato infatti, e rivela anche delle vulnerabilità. Al di là del calcolo diretto, la Sco ha difficoltà a muovere scelte come quella della Csto, perché Pechino non è mai interessata a mettere boots on the ground per crisi in divenire, siano esse in Asia Centrale o altrove. È un’ambiguità (un meccanismo di sicurezza che quando serve sicurezza resta fermo ai messaggi) basata sulla speranza di poter mantenere lo stesso un approfondito contatto in questo caso con Astana.
Nello specifico (ma anche in altri contesti) tutto sarà però da valutare in base alla durata dell’intervento russo. Quanto l’invio repentino di soldati al momento del bisogno approfondirà le relazioni tra Russia e Kazakistan, e quanto lo farà ai danni di un allentamento dalla Cina? L’idea che questo genere di impegno sia in qualche modo coordinato rischia di essere pigra: Mosca ha mandato un messaggio (ad alta voce) sulle volontà di primeggiare in certe regioni.
Per Pechino è però importante non perdere terreno. Sia perché l’Asia Centrale è una regione in cui la Cina vuole muovere influenza, centrale com’è per la Belt & Road Initiative e per la strategia “Go West”. Inoltre ci sono questioni ancora più dirette: c’è la questione del cryptomining (già ricordata) e c’è per esempio il ruolo del Kazakistan nel mercato delle materie prime nucleari. Il Paese produce il 40 per cento di yellocake (uranio) al mondo attraverso la statale Kazatomprom. Dall’annuncio dell’invio dei militari della Csto, il prezzo è salito dell’8 per cento. L’azienda continua a operare, ma è evidente che ci siano delle preoccupazioni visto che la catena di forniture è concentrata in un solo output.
Un fattore da considerare per un Paese come la Cina che nel suo 14Esimo Piano Quinquennale ha annunciato il progetto di portare da 50 GigaWatt a 70 la sua produzione atomica – su cui per alto confida di far ruotare anche il piano per la riduzione delle emissioni. Con 17 impianti attualmente in costruzione, la Cina sta intraprendendo il più grande programma di costruzione di centrali nucleari del mondo, ma per poter portare avanti le centrali serve materiale fissile. Ad aprile dello scorso anno Pechino ha annunciato un accordo con la Kazatomprom: l’azienda kazaka che guida le forniture globali di uranio sta iniziando i lavori decisi nella joint venture con la China General Nuclear Power Group (Cgnpc) per la costruzione del Ulba Nuclear Fuel Plant, con cui il governo cinese si è assicurato (tramite un investimento iniziale di 435milioni di dollari) l’importazione del 49 per cento delle produzioni dell’impianto.
Il Ceo di Kazatomprom, Galymzhan Primatov, s’è recentemente lasciato sfuggire che le acquisizioni di uranio della Cina superano da sole l’attuale domanda: “I pensieri della Cina sul costruire scorte strategiche sono qualcosa che penso manchi ai partecipanti al mercato. Quindi oggi, la sicurezza a lungo termine delle forniture è senza dubbio un obiettivo del programma cinese di nuova costruzione”. Gli acquisti crescenti della Cina potrebbero indicare che Pechino vuole bloccare la fornitura mentre è a buon mercato, o che si sta coprendo su potenziali sanzioni future o instabilità della catena di approvvigionamento. Quanto succede in Kazakistan è una di queste circostanze: anche per tale ragione il Partito/Stato si muove con circospezione e sfrutta l’attivismo russo.