Che l’elezione del prossimo Capo dello Stato e la scelta del premier debbano dipendere dagli umori, dalle velleità, dalle esigenze e dai contorcimenti di una pattuglia di onorevoli che si è auto-imputata e ora si aggrappa agli scranni, è un triste spettacolo. Il mosaico di Carlo Fusi
Dopo aver rescisso il legame tra rappresentanti e rappresentati con meccanismi elettorali che hanno tolto agli elettori il potere di scegliersi i loro parlamentari per cui deputati e senatori sono nient’altro che “ospiti” di una lista spedita nei seggi per essere vidimata, adesso è scisso anche il rapporto tra rappresentanti stessi, con deputati e senatori che svicolano dalle decisioni delle leadership di partito se non addirittura, come avviene tra i Cinquestelle, si ribellano ad esse in maniera aperta, disconoscendone la validità.
È la fotografia di un Parlamento svilito nel suo ruolo non solo da chi, con parole d’ordine eversive riaspetto all’edificio democratico iscritto nella Costituzione, voleva aprirlo come una scatoletta di tonno, ma anche da chi ha pensato – emissario di chissà quale élite o Casta – di piegarlo alle proprie convenienze e ai propri interessi, riducendolo ad un simulacro.
Il paradosso è che tra pochi giorni i Grandi Elettori, che di questo Parlamento sono il risultato assieme ai rappresentanti regionali, debbono accollarsi il compito e la responsabilità di erigere il pilastro su cui il sistema-Paese dovrà reggersi per i prossimi anni, eleggendo un capo dello Stato che sovrintenderà questo fine legislatura, tutta la prossima, e un anno di quella che verrà ancora dopo. Con tutto il rispetto possibile, è come se un esercito di macachi si mettesse davanti alla tastiera di un computer e dovesse scrivere la Divina Commedia.
Ma c’è un’ulteriore torsione politico-istituzionale che rende il quadro perfino più avvilente. Il taglio dei parlamentari, totem demagogico-populista innalzato dal M5S di fronte al quale, chi prima chi dopo, tutte le forze politiche hanno finito per inginocchiarsi, fa sì che passeggino nel Transatlantico, tra pochi giorni appunto con in mano una scheda, trecento e più ectoplasmi destinati a volatilizzarsi una manciata di mesi dopo ma proprio per questo evirati di ogni responsabilità rispetto alle scelte da compiere e dunque, almeno a far credito ai boatos che pervadono il Palazzo, pronti a “vendersi” al miglior offerente, in termini sia politici che personali, ansiosi di afferrare l’ultima occasione per lucrare sul loro status.
Verrebbe voglia di rifiutare con sdegno una simile rappresentazione, sicuri che le cose stanno altrimenti e che i parlamentari, tutti, comunque assolveranno al loro ruolo fino in fondo seguendo solamente la bussola dell’interesse nazionale. Se non fosse che, sempre prestando orecchio alle maldicenze che alla fine trovano spazio sui media, importantissimi leader di partito proprio quella insidia vellicano, garantendo cadreghe e prebende fino alla scadenza naturale della legislatura.
Meglio intendersi. Nel mondo della politica pifferai più o meno magici capaci di incantare gli sprovveduti o i troppo furbi ce ne sono sempre stati e sempre ce ne saranno. Così come sempre c’è stato e sempre ci sarà chi a quelle profferte si presta e dà credito. Nulla di scandaloso, la democrazia parlamentare è un sistema imperfetto al pari di tutti gli altri, forse comunque un po’ meglio. Come pure avviare il Paese sul piano inclinato delle elezioni anticipate nella fase in cui il Pnrr deve produrre il massimo dei risultati (Il Sole 24Ore titola che la Ue “vuole sette misure al mese”), è un impulso di irresponsabilità senza se e senza ma.
Ma che decisioni di una tale portata – elezione del successore di Mattarella, eventuale scelta di un nuovo premier, stabilire se andare avanti o intestarsi la richiesta di scioglimento delle Camere – debbano dipendere dagli umori, dalle velleità, dalle esigenze e dai contorcimenti di una pattuglia di onorevoli che prima si è auto-amputata e poi cerca disperatamente una protesi da afferrare da parte di chiunque gliela offra, è uno spettacolo che avvilisce e lascia allibiti.
Chissà se in extremis non ci sarà una resipiscenza. E chi titilla pulsioni così stranianti non capisca che la presunta convenienza di oggi prepara il disastro di domani.