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Cosa vuole (davvero) Putin in Europa

Le trattative Russia-Occidente in corso saranno lunghe e porteranno alla definizione degli equilibri in Europa post-Guerra Fredda, secondo Cella (UniCatt/Nato Foudation). E su tutto peseranno Ue e Cina

Mentre l’amministrazione statunitense prepara il ritiro del personale non essenziale dall’ambasciata di Kiev per ragioni di sicurezza e annuncia l’arrivo a Kiev di “letal aid” per rifornire le forze armate ucraine davanti a un potenziale attacco russo, arriva la notizia che il vice ammiraglio Achim Kay Schoenbach, a capo della marina tedesca, ha deciso di dimettersi in seguito ad alcune controverse osservazioni sulla crisi in Ucraina.

Quel “Putin vuole solo rispetto, e lo merita“, abbinato a considerazioni sull’inadeguatezza dell’Ucraina per essere accolta nella Nato, segnano in parte il pensiero tedesco, ma sono troppo forti in un momento in cui la Germania viene accusata di essere troppo accondiscendente con Mosca — Berlino ha per esempio recentemente bloccato l’Estonia che voleva fornire obici comprato dai tedeschi agli ucraini.

Se Washington cerca di aumentare la fornitura di gas all’Europa facilitando accordi con il Qatar per il liquefatto — da rigasificare in impianti come quello di Rovigo, gestito dalla joint venture Exxon Mobil, Snam e Qatar Petroleum — cercando così una via per fugare i dubbi di quei paesi europei che temono che una postura severa verso Mosca si porti dietro un taglio delle forniture russe (via Ucraina) e un nuovo rincaro energetico; Berlino viene accusata di cercare il dialogo anche per tutelare l’interesse geostrategico del Nord Stream 2, gasdotto con cui la Russia entrerebbe in Europa da Nord, tagliando proprio le pipeline ucraine.

E mentre la ministra della Difesa tedesca, Christine Lambrecht, annuncia il prossimo arrivo a Kiev di un ospedale da campo sottolineando comunque che l’invio di armi “non sarebbe utile al momento” — sottolineatura: “questo è il consenso all’interno del governo” — il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, pubblicizza esercitazioni in Bielorussia, a meno di 200 chilometri da Kiev. È qui che stanno differenze; è al confine ucraino-bielorusso che sono arrivate anche altre batterie lanciamissili e cacciabombardieri Su-35. I tiktokers russi riempiono il social network dei video in cui si vedono muoversi rinforzi, perché portano molti click: allo stesso tempo questo continuo pacchetto di Osint mette Kiev sotto uno stillicidio psicologico. L’invasione sembra in diretta, un reality show. Mentre dall’Europa si frena sull’invio di armi — con Londra che marca un’ulteriore differenza brexitiana con un punto aereo militare per aiuti a Kiev.

Tutto mentre i plenipotenziari Antony Blinken e Sergei Lavrov si incontrano per parlare della crisi ucraina, che è un pretesto usato da Vladimir Putin per intavolare un discorso ampio sulla sicurezza europea e della Russia, disegnando linee rosse già note. Come fa notare Giorgio Cella, docente dell’Università Cattolica, analista geopolitico e autore del recente libro “Storia e geopolitica della crisi ucraina. Dalla Rus’ di Kiev a oggi” (Carocci editore), questi negoziati non sembrano però essere nemmeno al livello di trattative, “sono uno scambio di idee, un continuo riposizionamento bilaterale, una sorta di forum che pressuppone altri passaggi”.

“Il motivo per cui siamo arrivati a questo è legato alla mancanza di una macro-conferenza internazionale multilaterale regolatrice dopo la Guerra Fredda: ci sono state solo dinamiche diplomatiche di lungo corso, come i controversi negoziati del 1990 tra Bush-Kohl-Gorbaciov, o eventi più simbolici che sostanziali come il ‘Summit di Malta’ del 1989”, spiega Cella a Formiche.net. È da qui che nascono varie controversie, le red lines di cui Putin ha parlato spesso e che torna a marcare adesso. “C’è un’incomprensione di fondo, collegata a un processo di allargamento della Nato e di integrazione di Paesi ex sovietici o ex membri del Patto di Varsavia nel sistema occidentale”, aggiunge Cella — che nel suo libro dedica un intero capitolo anche a queste cruciali questioni.

L’unico tra gli stati post-sovietici a non essere stato integrato o avvicinato in questo sistema è la Bielorussia, e ciò racconta molto dell’oggettivo successo che ha avuto il processo a guida occidentale di cui stiamo parlando. “Va valutata la mentalità imperiale russa: essere parte del concerto delle potenze (o concerto europeo) è una volontà insopprimibile di Putin così come lo fu per tutte le dirigenze politiche al Cremlino prima di lui, mentre dall’amministrazione Clinton in poi gli Stati Uniti hanno smesso di considerare Mosca su questo livello. I russi sono stati messi in panchina, anche per via dell’unilateralismo imperiale americano, e Putin nella sua restauratio imperii sta cercando di far rimanere rilevante la sua Russia”, aggiunge il docente.

Stante questo, lo scenario futuro non può che essere complicato: i negoziati diplomatici saranno di complessità estrema e assai lunghi, e se procederanno senza grossi intoppi potrebbero portare a una nuova pace di Westafalia con la ridefinizione dei paletti e il livellamento delle varie asimmetrie di interessi e priorità strategiche contrapposte tra Occidente e Russia nel grande spazio post-sovietico. Tutto ciò, con un interrogativo: cosa sarà il futuro russo post Putin? “Difficile rispondere, anche perché non si intravedono forme di successione e il futuro russo è anche collegato a forme di debolezza strutturale, su tutte quella economica e quella demografica”, spiega Cella.

In questi negoziati futuri ci saranno due convitati di pietra, secondo il docente. “Il primo è la frammentazione del pensiero politico dell’Unione europea soprattutto sui temi degli Esteri, e questo sarà un peso”. L’atteggiamento della Germania, che continua a frenare sui rifornimenti militari a Kiev anche per quella che Oxana Schmies sul sito del Cepa definisce una “paralizzante paura della guerra”; ma anche il tentativo della Francia di recuperare spazi con un’iniziativa diplomatica alternativa (se non competitiva) a quella bilaterale accettata da Joe Biden su richiesta di Putin; e poi la posizione dei Paesi del fronte orientale europeo che vorrebbero posture molto più dure nei confronti di Mosca, di cui ogni giorno soffrono la presenza ingombrante ai confini (o direttamente all’interno del proprio territorio in varie forme). “Questa mancanza di capacità dell’Ue di prestarsi a operazioni di carattere militare è certamente un punto a favore di Putin, su cui, in caso di bisogno, continuerà a premere”, aggiunge Cella.

L’altro convitato di pietra per il docente è il dupolio di potere globale sino-americano de facto in essere nelle relazioni internazionali attuali, “con la Russia che ha già ed avrà un ruolo chiave ma da junior partner, anche per via del controverso e per vari aspetti rischioso (anche per Mosca) allineamento attuale tra Russia e Cina. L’Occidente, Stati Uniti in primis ovviamente, alla luce di questa triangolazione dovrà ineluttabilmente rispondere a un dilemma: chi agganciare nel sistema occidentale, la Russia o la Cina? E chi sacrificare? E se toccherà a Mosca, come re-integrare la Russia distogliendola dall’abbraccio cinese?”.



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