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Lupi e agnelli al confine ucraino. Le mosse di Biden e Putin lette dal gen. Camporini

La Russia schiera 170mila uomini al confine ucraino e si lamenta perché gli americani ne muovono 8500. È indice di una aggressività che non possiamo tollerare, spiega ad Airpress il generale Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore della Difesa. E intanto l’Europa è più debole che mai

Richiamare gli europei a una maggiore attenzione “a quello che sta accadendo alle loro frontiere orientali”. E un messaggio rivolto al Cremlino sull’unità di intenti dell’Occidente, “una sorta di segnale alla Russia che esiste un dialogo fra le due sponde dell’Atlantico”. Sono questi gli intenti che ieri sera hanno mosso il presidente Joe Biden a una video conferenza con i principali leader europei, secondo il generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa, sentito da Airpress sulla questione Ucraina. All’incontro virtuale hanno preso parte Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Polonia insieme ai vertici dell’Unione europea e al segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg.

La situazione è tesa e la guerra non è affatto esclusa, una opzione che sembra preoccupare più Washington che Bruxelles e non priva di paradossi da parte di Mosca. “La Russia che schiera 170mila uomini – spiega ad Airpress Camporini – si lamenta perché gli americani ne muovono 8500. Mi viene in mente la favola di Esopo del lupo che accusa l’agnello di intorpidirgli le acque anche se si trova più in basso. Tuttavia, è indice di una aggressività che non possiamo tollerare”.

Il confronto promosso ieri da Biden per discutere con gli interlocutori europei sulla crisi Ucraina mostra una Europa divisa e incerta sul da farsi. Ne trae vantaggio Putin?

Dal punto di vista militare, non credo che Putin possa apparire particolarmente rafforzato dal fatto che l’Europa è divisa, un’Europa le cui capacità di Difesa sono francamente molto modeste, ammesso che esistano. Tuttavia, gli americani si rendono conto che devono necessariamente coinvolgere gli europei se vogliono avere una voce autorevole negli affari continentali. La pressione che sta esercitando Putin oggi, con la presenza così poderosa di forze armate al confine ucraino, è inaccettabile. Oltretutto, con atteggiamenti che rasentano il paradossale, con la Russia che schiera 170mila uomini e si lamenta perché gli americani ne muovono 8500. Mi viene in mente la favola di Esopo del lupo che accusa l’agnello di intorpidirgli le acque anche se si trova più in basso. Tuttavia, è indice di una aggressività che non possiamo tollerare: la giustificazione della minoranza linguistica russa russofona che viene discriminata in Ucraina è una motivazione molto pericolosa. Nel passato recente abbiamo vissuto momenti tragici proprio per questi stessi motivi: ricordiamoci i Sudeti, i problemi che abbiamo avuto con l’Alto Adige, dove alla fine si è trovato un accordo positivo ma dopo tensioni molto elevate. In Europa ci sono migliaia di minoranze linguistiche, se per ognuna di loro si creasse un casus belli saremmo in guerra ogni giorno.

La guerra non è più fredda e Putin con la questione di Kiev fa emergere una visione dell’Europa debole e ininfluente anche nel suo stesso quadrante. Che visione sta dando Bruxelles di sé?

Questa Europa è debole, e lo è perché non ha mai elaborato una politica estera comune e, di conseguenza, una politica di sicurezza comune. È debole perché possiede delle capacità militari molto ridotte, ancillari se vogliamo, e certamente non determinanti. Noi europei non siamo in grado di garantire sicurezza e stabilità al nostro quadrante. Questa lacuna è una cosa che gli americani ci rimproverano molto, perché da un lato avvertono un peso eccessivo per loro stessi, e dall’altro hanno un problema che si chiama Cina verso il quale vorrebbero poter dirottare tutte le loro risorse e capacità, cosa che non si possono permettere di fare perché gli europei non sono capaci di badare a sé stessi. Il problema è che la risposta europea non è univoca e le posizioni dei singoli Paesi del continente non sono in sintonia piena tra loro. Ci sono voci e atteggiamenti discordanti, sfumature diverse, talvolta piuttosto intense, che non facilitano la posizione occidentale. Questa, a mio avviso, è molto chiara. Ci sono alcuni principi di diritto internazionale che non possono essere ignorati: innanzitutto il diritto di ogni Paese di scegliere il proprio futuro senza subire le pressioni altrui.

Gli alleati così facendo rischiano di indebolire anche la Nato, che è sotto pressione da Mosca per possibili nuovi allargamenti ad est che il Cremlino non vuole subire. Quali sono gli scenari per l’Alleanza Atlantica?

La pretesa russa di avere intorno a sé una fascia di Paesi a sovranità limitata, come la Bielorussia o come vorrebbero che fosse l’Ucraina e la Georgia, stride con la nostra stessa natura di Paesi liberi. Probabilmente qualche atteggiamento occidentale nel passato ha alimentato questa paranoia russa dell’accerchiamento, ma è chiaro che, di fronte a come stanno evolvendo le cose in Europa orientale, da parte nostra non può che esserci una reazione determinata volta a riaffermare i principi che sono alla base del nostro vivere comune. La Nato, in tutto questo, è un elemento estremamente positivo, perché indica ai singoli Paesi in che direzione andare dal punto di vista del potenziamento delle capacità. Per quanto riguarda la pianificazione, invece, troppo spesso i Paesi europei fanno orecchie da mercante – italiani compresi – rispetto alle indicazioni date dall’Alleanza Atlantica. Tuttavia, dobbiamo sempre avere bene in mente che la Nato è un punto di riferimento fondamentale senza la quale, come europei, saremmo ancora più deboli e incapaci di fare quel passo in avanti orami improcrastinabile. Qui l’Unione europea ha le sue responsabilità, con un atteggiamento che deve diventare molto più pragmatico rispetto a quello seguito finora. Il problema dell’Unione è che non si vuole scontentare nessuno, andando sempre alla ricerca del minimo comune denominatore. Il problema è che questo minimo, oggi, rasenta lo zero.

Tra gli europei, il Paese più cauto sembra la Germania…

La Germania ha un problema, ed è l’atteggiamento politico dell’attuale governo. Francamente mi sembra di vedere delle divergenze significative tra quello che afferma la ministra degli Esteri e quella della Difesa. Ci sono delle titubanze dovute all’oggettiva fatica che tenere insieme liberali, verdi e socialisti richiede, con risultati che, alla fine, non sono soddisfacenti per nessuno. Quindi, c’è un problema di governance all’interno della Germania che si riflette anche in Europa. Non abbiamo più un punto di riferimento. Prima avevamo Angela Merkel, e per certi versi anche Macron nonostante su qualche atteggiamento tenuto dal presidente francese io sia piuttosto critico, oggi rischiamo di non averne più nessuno. Inoltre, al momento non esistono, nei Paesi più significativi dell’Europa, delle condizioni politiche che permettano di prendere delle posizioni coerenti e determinate. In Francia si avvicinano le elezioni presidenziali, e in Italia dobbiamo augurarci di riuscire a venir fuori dal pantano politico nel quale ci troviamo, sebbene nutra qualche dubbio a riguardo, visto come stanno andando le elezioni del presidente della Repubblica.

La posizione di Berlino è dettata dalla storia, dai rapporti economici con Mosca e dallo stallo che si creerebbe sul Nord stream 2?

Il progetto del Nord stream 2 potrebbe essere impiegato come leva sulle decisioni europee in particolare di nuovo quelle tedesche. I rapporti commerciali tra Europa e Russia, e in particolare tra Germania e Russia, sono un problema che condiziona in maniera significativa l’atteggiamento europeo verso Mosca. Sia in Germania che nel nostro Paese, si sono tempo fa levate voci altisonanti sulla necessità di preservare i rapporti commerciali con la Russia, anche a scapito di tutto il resto, dimenticando che questi rapporti sono solo una frazione dei nostri interessi economici generali. In più abbiamo questo “cappio al collo” del problema energetico che non riguarda solo il Nord stream 2, ma la capacità russa di metterci al freddo.

Sulla questione energetica per la Russia sono tutte rose e fiori?

No, si tratta di un’arma a doppio taglio, perché anche la Russia ha i suoi serissimi problemi, di carattere finanziario oltre che demografico. In particolare, per alleviare le proprie fragilità economiche Mosca dipende grandemente dalle rimesse che i Paesi europei le corrispondono per pagare il gas e l’energia russa. Da questo punto di vista, quindi, Putin deve stare molto attento a usare quest’arma, che potrebbe ritorcerglisi contro. La differenza è che Putin i rubinetti può chiuderli all’istante, e le conseguenze di uno strangolamento energetico sarebbero immediate in Europa. Di contro, il corrispettivo mancato introito per la Russia sarebbe spostato più in là nel tempo, un elemento che dà a Putin una finestra d’azione più ampia. Certo, dobbiamo però fare attenzione a non chiudere dall’oggi al domani. Le politiche energetiche richiedono una serie di interventi che non si improvvisano dall’oggi al domani. Avremmo dovuto pensarci prima e oggi ci ritroviamo con il problema che buona parte dell’energia in Europa arriva dalla Russia. In Italia abbiamo per fortuna il Tap, che purtroppo non soddisferà più del 10% della quota necessaria, e anche dall’Africa non arriva che tra il 10 e il 20% circa del necessario. Stiamo cominciando a riflettere sull’estrazione di gas dall’Adriatico, ma anche qui non sarà una cosa che si improvvisa sul momento.

Che tipo di reazione e postura di Bruxelles e della Nato sarebbero necessarie per frenare Mosca nella partita Ucraina, secondo lei?

Al momento non ci sono moltissime opportunità per poter arginare le pretese del Cremlino su Kiev. Quello che deve fare la Nato è riaffermare con forza e senza la minima incertezza, come sta facendo, la solidarietà dei membri dell’Alleanza, rimettendo al centro l’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico. Le attività militari che sono attualmente in corso vanno in questa direzione. Il problema dell’Ucraina, invece, è che non fa parte dell’Alleanza. Anzi, al momento non ne può fare parte, oggettivamente, perché è un Paese che si trova in una situazione di conflitto e non è ipotizzabile che possa essere invitata a entrare nella Nato ora come ora. Probabilmente, da parte occidentale, sarebbe un gesto distensivo affermare che l’invito a Georgia e Ucraina di aderire alla Nato è un fatto formale, da discutere nel futuro, e non un’opzione imminente. Questo potrebbe rassicurare in parte il Cremlino. Tuttavia, le richieste avanzate da Putin, con i due trattati presentati alla Nato e agli Stati Uniti (una duplicazione indicativa), sono assolutamente irricevibili. Permane il dubbio che siano state proposte formulate appositamente allo scopo di essere respinte, in modo tale da avere una scusa per una ulteriore escalation. Mi auguro di no.

L’Italia è presa dalle elezioni del Quirinale, partecipa tuttavia in questi giorni a due esercitazioni Nato, la Neptune strike 2 e la Clemenceau nel mediterraneo orientale con la nave nucleare americana Truman. Come vede il posizionamento del nostro Paese?

Dal punto di vista strettamente tecnico-militare, l’Italia non ha problemi. Abbiamo partecipato con grande efficacia alle esercitazioni della Nato, alle operazioni di Air policing nel Baltico e in Islanda, e abbiamo dimostrato di avere pienamente le capacità per poter contribuire in modo fattivo alla postura difensiva dell’Alleanza Atlantica. Il problema è sempre a livello politico. Se c’è la volontà di fare le cose, queste vengono fatte. Ma mi sembra che oggi come oggi l’unica preoccupazione del nostro mondo politico sia su quello che accade all’interno delle mura Aureliane, nemmeno su tutta la Capitale. Non c’è nessuna attenzione per quello che sta accadendo fuori da casa nostra, come se non stesse succedendo nulla. E invece il mondo gira, e chi si dovrà assumere le responsabilità di governo nei prossimi mesi o nei prossimi anni, dovrà necessariamente affrontare le sfide che oggi abbiamo di fronte e verso le quali non si può chiudere gli occhi.



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