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Il dopo Quirinale: niente urne e nuova legge elettorale

Sono tre i motivi per cui si voterà l’anno prossimo, alla scadenza naturale della legislatura. Per ragioni politiche e interessi personali diversi, sembra farsi strada una legge proporzionale con uno sbarramento che potrebbe essere al 5 per cento. Il punto di Stefano Vespa

In attesa di conoscere il nome del nuovo Presidente della Repubblica e, forse, del presidente del Consiglio nonostante le strade siano più tortuose dopo il vertice del centrodestra di ieri, non ci saranno elezioni anticipate e nei prossimi mesi il Parlamento cercherà di approvare una nuova legge elettorale.

Sono tre i motivi per cui si voterà l’anno prossimo, alla scadenza naturale della legislatura: centinaia di deputati e senatori non saranno rieletti per la riduzione dei seggi a 600, 400 alla Camera e 200 al Senato, e perché molti elettori hanno cambiato idea come quelli che scelsero il Movimento 5 stelle; votare quest’anno comporterebbe uno stallo di parecchi mesi tra la data dello scioglimento delle Camere e quello della fiducia al nuovo governo proprio mentre bisogna accelerare l’attuazione del Pnrr; la riforma che ha ridotto il numero di seggi è tuttora “orfana” delle norme indispensabili per il funzionamento delle Camere.

Possiamo ricordare che cosa è avvenuto alle elezioni negli ultimi vent’anni. Premesso che la data del voto viene fissata tra i 45 e i 70 giorni dopo lo scioglimento delle Camere, e in media si tratta di due mesi, il governo nato più velocemente fu quello di Silvio Berlusconi nel 2008 che ottenne la fiducia 31 giorni dopo il voto di metà aprile, seguito nel 2006 da quello di Romano Prodi che la ottenne 43 giorni dopo il voto. Molto più lunghi i tempi nel 2013 e nel 2018. Enrico Letta ebbe la fiducia 64 giorni dopo il voto e Giuseppe Conte addirittura tre mesi dopo, all’inizio di giugno. Sergio Mattarella aveva sciolto le Camere il 28 dicembre 2017: quattro anni fa ci furono più di cinque mesi di stallo.

Da settimane solo Fratelli d’Italia sta chiedendo le elezioni anticipate per ovvie ragioni essendo l’unico partito di opposizione e in alta quota nei sondaggi. Infatti a Giorgia Meloni non è piaciuto che Silvio Berlusconi, nella nota con la quale annuncia il ritiro della propria candidatura al Quirinale, auspichi la permanenza di Mario Draghi a palazzo Chigi fino alla fine della legislatura. Nello stesso tempo tutti discutono della necessità di modificare il Rosatellum che prevede il 36 per cento di seggi con il maggioritario, il 64 con il proporzionale e due soglie di sbarramento a livello nazionale: il 3 per cento per le liste e il 10 per cento per le coalizioni. Che poi ci si riesca è un altro discorso.

Per motivi politici e interessi personali diversi, sembra farsi strada una legge proporzionale con uno sbarramento che potrebbe essere al 5 per cento. Ragionamenti generali senza ancora entrare nei dettagli, come per esempio l’ipotesi di indicare prima del voto la coalizione con la quale formare il governo, e soprattutto in attesa di capire quale orientamento avrà la meglio all’interno dei partiti. Una vecchia volpe come il leghista Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato che quest’anno compirà i 30 anni di presenza in Parlamento, già nell’agosto scorso in un’intervista al Venerdì di Repubblica dava per scontata l’approvazione di una legge proporzionale con premio di maggioranza entro il prossimo autunno con un accordo tra centrodestra, Partito democratico e Italia viva.

All’inizio di dicembre Antonio Polito sul Corriere della Sera, seppure in un discorso più ampio sull’interesse di destra e sinistra di poter contare su una neonata componente di centro nell’eventualità che dalle elezioni uscisse una situazione bloccata, notava che anche bipolaristi convinti come Enrico Letta e Matteo Salvini potrebbero orientarsi sul proporzionale per evitare accordi sulla spartizione di collegi del maggioritario rispettivamente con Giuseppe Conte e con Giorgia Meloni. Dopo l’elezione del presidente della Repubblica molte cose saranno più chiare, naturalmente, e l’auspicio è che la prossima legislatura possa essere costituente con una riforma che renda più efficienti le istituzioni dopo un taglio dei parlamentari voluto solo per demagogia.

Un’ultima notazione. Visto che si discute sempre a livello “provinciale” ricordandosi delle relazioni internazionali sono occasionalmente, uno dei tanti motivi per cui c’è bisogno di stabilità, dal Quirinale in giù, sta nel fatto che l’Italia è una nazione cardine dell’Unione europea e della Nato mentre, per esempio, si rischia una guerra in Ucraina.

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