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Draghi, il Quirinale e il cambio di strategia. Il punto di Vespa

Stavolta nessuna parola di Draghi è interpretabile come un’autocandidatura. Il presidente del Consiglio si è messo alla finestra costringendo i partiti a scegliere: il 24 gennaio il cerino si sarà consumato

L’impressione è che abbia cambiato strategia perché sbagliando s’impara. Tutti hanno notato un diverso approccio di Mario Draghi nella conferenza stampa di ieri rispetto a quella del 22 dicembre: dal “nonno al servizio delle istituzioni” al non rispondere alle domande riferite al Quirinale o al restare a Palazzo Chigi per affrontare le emergenze, dalla pandemia al Pnrr. Se quel “nonno” dette la stura a retroscena e polemiche perché sembrò scompaginare i piani dei partiti lasciandolo con il cerino in mano, oggi l’impressione è che il presidente del Consiglio abbia restituito il cerino ai partiti.

Draghi ha mandato diversi segnali. Un appello all’unità con la quale affrontare l’anno appena iniziato, la rivendicazione delle scuole aperte in risposta a chi dice che non governa perché non vuole più decidere, lo sminuire le divisioni nel Consiglio dei ministri sull’obbligo vaccinale per gli over 50 quando invece, ha detto, le fibrillazioni furono molte di più sulla riforma della giustizia. Perfino le scuse finali per non aver tenuto la conferenza stampa subito dopo l’approvazione dell’ultimo decreto, una “sottovalutazione delle attese”. Insomma, un tentativo di tenere tutto insieme e di rimandare la palla nel campo dei partiti perché “finché c’è volontà di lavorare insieme per soluzioni condivise il governo va avanti bene”: in altri termini, se i partiti lo eleggono al Quirinale poi devono dimostrare senso di responsabilità.

A due settimane dalla convocazione del Parlamento per l’elezione del Presidente della Repubblica i giochi sono apertissimi perché le vere scelte si sono sempre fatte all’immediata vigilia e perché ci sono ancora troppi interessi contrapposti. Solo Silvio Berlusconi si è esposto, ancora prima della conferenza stampa di Draghi, annunciando l’uscita di Forza Italia dal governo se il presidente del Consiglio andasse al Quirinale. Volendo andarci lui non potrebbe dire altrimenti e prova a minare il terreno sostenendo che molti parlamentari non lo voterebbero perché la conseguenza sarebbero le elezioni anticipate. Votare sembra escluso per le emergenze in atto e per l’egoismo di chi non sarà rieletto mentre Salvini dice di lavorare “a 360 gradi per garantire una scelta rapida, di alto profilo e di centrodestra” ma non cita Berlusconi.

Stavolta nessuna parola di Draghi è interpretabile come un’autocandidatura. Il presidente del Consiglio si è messo alla finestra costringendo i partiti a scegliere: il 24 gennaio il cerino si sarà consumato.



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