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Draghi al Quirinale? Machiavelli lo sconsiglierebbe

Essere realisti sul Quirinale significa prendere atto che è molto più facile trovare una ristretta rosa di personalità di valore per la presidenza della Repubblica che la persona giusta per Palazzo Chigi. Il corsivo di Marco Mayer

Nella concezione di Niccolò Machiavelli, la Fortuna non è la dea onnipotente di Tito Lucrezio Caro né la ministra divina di Dante Alighieri. Machiavelli scrive nel Principe:

Nondimanco, perché il nostro libero arbitrio non sia spento, iudico poter essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi.

Per Machiavelli, l’azione politica ha margini di manovra rispetto alla Fortuna a due condizioni: che il leader politico sia adatto alle circostanze; che egli sappia cogliere i mutamenti e le finestre di opportunità. Scrive:

Credo ancora, che sia felice quello, il modo del cui procedere suo si riscontra con la qualità de’ tempi, e similmente sia infelice quello, dal cui procedere si discordano i tempi.

Per la sfida del Quirinale chi decide non sarà il Principe, ma un migliaio di Grandi elettori. I mille sapranno cogliere la “qualità de’ tempi” di cui scrive Machiavelli? Nel segreto dell’urna i Grandi elettori del presidente potrebbero ignorare il momento storico in cui sta vivendo l’Italia. Il timore è che i mille ignorino o sottovalutino le conseguenze che una scelta sbagliata potrebbe comportare per l’Italia. Scrive ancora Machiavelli:

È comune defetto degli uomini, non fare conto, nella bonaccia, della tempesta.

Secondo le indiscrezioni del Messaggero, Silvio Berlusconi sarebbe orientato a ritirarsi dalla corsa al Quirinale nel seguente scenario: Mario Draghi capo dello Stato, Gianni Letta segretario generale del Quirinale, Romano Prodi e lo stesso Berlusconi senatori a vita. Non è da escludere che un quotidiano serio come il Messaggero possa essere stato vittima di fake news, ma supponiamo per un momento che l’ipotesi si realizzi. In tempi normali essa potrebbe costituire uno scenario accettabile. Ma viviamo tempi di bonaccia, la tempesta di cui parla Machiavelli si sta avvicinando all’Italia ed è sempre più minacciosa.

La minaccia è la tempesta perfetta: disoccupazione, povertà, pandemia, debito pubblico, inflazione, inefficienza della pubblica amministrazione, dipendenza energetica dalla Russia e digitale dalla Cina nella fase più acuta delle tensioni internazionali. La ripresa economica e le vaccinazioni fanno intravedere uno spiraglio di luce in fondo al tunnel, ma l’Italia è ancora sul ciglio di un burrone. Per non essere travolta dalla tempesta, l’Italia ha soltanto un’arma a disposizione, a doppio taglio: i 200 miliardi del Pnrr e le riforme a essi collegate. Per ottenerli l’Italia si è unita. Penso a David SassoliPaolo GentiloniEnzo Amendola, Giuseppe Conte, Antonio Tajani, Carlo Calenda, Matteo Renzi, Roberto Speranza nonché le opposizioni (Lega e Fratelli d’Italia al Parlamento europeo).  Non basta averli ottenuti, è imperativo spendere i finanziamenti europei bene e nei tempi giusti.

Ospite di Bruno VespaGiorgia Meloni ha criticato aspramente chi santifica Draghi e il suo governo. Ma gli osservatori indipendenti riconoscono (con l’eccezione della riforma della giustizia penale) che i passi compiuti sin qui vanno nella direzione giusta.

Certo, la partita decisiva sarà il lavoro del governo nei prossimi sei mesi. La verifica europea del Pnrr sarà il 30 giugno, ovvero domani. Il sentiero da ancora percorrere è impervio e pieno di ostacoli (burocrazia, corruzione, localismi e una cultura amministrativa ancora dominata – nonostante le promesse di semplificazione – da una stratificazione di procedure e controlli giuridici e giurisdizionali che non guardano ai risultati, anzi li ostacolano). I cittadini italiani devono sapere che se le spese italiane del Pnrr dovessero risultare – per usare le parole di Draghi – “debito cattivo” per l’Italia sarebbe una catastrofe.

Spostare Draghi  da Palazzo Chigi potrebbe costituire un vero e proprio salto nel buio. Chi spinge in questa direzione potrebbe – per quanto in perfetta buona fede – compiere un tragico azzardo per la credibilità internazionale dell’Italia e il futuro dell’Italia. L’elezione del nuovo presidente della Repubblica è da sempre fonte di perturbazioni tra i partiti e nei partiti.

Per descrivere la gravità dei pericoli a cui va incontro il Paese possiamo – ancora una volta – far ricorso a una fulminante metafora coniata da  Machiavelli nel XXV capitolo del Principe:

E se voi considerrete l’Italia, che è la sedia di queste variazioni e quella che ha dato loro il moto, vedrete essere una campagna sanza argini e sanza alcuno riparo.

Nei Canti carnascialeschi aggiunge:

Tant’è grande la sete
Di gustar quel paese,
Ch’a tutto il mondo diè le leggi in pria;
Che voi non v’accorgete,
Che le vostre contese
Agl’inimici vostri aprin la via.
Il Signor di Turchia
Aguzza l’armi, e tutto par, ch’avvampi,
Per inondare i vostri dolci campi.

Prima di giocare la carta Draghi i leader di partito dovrebbero ricordarsi quanto le “contese” interne “agl’inimici vostri aprin la via”.

All’inizio ho accennato al fatto che per Machiavelli l’azione politica non deve necessariamente arrendersi alla Fortuna. Nel XXV capitolo del Principe egli paragona la Fortuna “a uno di questi fiumi rovinosi che, quando s’adirano, allagano e piani, ruinano gli alberi e gli edifizii, lievano da questa parte terreno, pongono da quell’altra”. Ma subito si preoccupa di precisare: “E benché sieno così fatti, non resta però che gli uomini, quando sono tempi quieti, non vi potessino fare provvedimenti, e con ripari e argini, in modo che, crescendo poi, o egli andrebbano per uno canale, o l’impeto loro non sarebbe né si licenzioso né si dannoso”.

Incrinare il Pnrr sarebbe certamente molto dannoso. Un secondo rischio connesso alla candidatura Draghi al Quirinale sta nelle sue  motivazioni. Per alcuni leader (per esempio Enrico Letta, ma non è il solo), Draghi é l’alternativa da contrapporre a Berlusconi non solo per il suo valore intrinseco, ma anche per non avere grane nel partito. L’uscita di scena di Berlusconi cambierebbe la prospettiva dei parlamentari del Partito democratico e degli altri partiti.

In Parlamento poi c’è un’altra corrente di pensiero che vuole Draghi al Quirinale per la classica formula promoveatur ut amoveatur. Il presidente del Consiglio è una personalità forte che si fa sentire. Nel giro di un anno si è fatto non pochi nemici in parlamento e nei partiti, soprattutto  rispetto a nomine e comportamenti discutibili.

La terza motivazione è la più nota: bene Draghi, ma elezioni anticipate appena possibile. Nel semestre decisivo per il successo del Pnrr una  turbolenza divisiva che sarebbe molto meglio evitare.

C’è, infine, una altra eventualità. Per quanto meno probabile delle ripercussioni negative sul Pnrr, un’analisi seria deve prendere in esame anche lo scenario peggiore.

Mi riferisco a un eventuale impallinamento di Draghi, più facile nelle prime tre votazioni, ma anche in quelle successive. Basti pensare agli insuccessi di Franco Marini e di Prodi. La crisi drammatica dell’Italia prodotta da un no a Draghi non dispiacerebbe a chi ha in mente di indebolire in un colpo solo l’Europa e il mondo libero.

Tornando a Machiavelli, nel VII capitolo del Principe egli attribuisce la caduta del Valentino alla combinazione di due fattori. Il primo è l’”estrema malignità di fortuna” accennata all’inizio. Il secondo, di carattere soggettivo, è un errore politico compiuto dal duca stesso. Di che errore si tratta? L’aver favorito l’elezione al soglio pontificio di Giuliano della Rovere, avversario storico di suo padre, Alessandro VI. Da queste vicende Machiavelli trae due conseguenze: sbaglia chi pensa che i grandi si dimentichino le offese ricevute in passato anche quando sono promossi ai più alti incarichi; il duca non doveva in alcun modo consentire l’elezione a Papa di qualunque cardinale a lui potenzialmente ostile, a prescindere dal fatto che l’ostilità derivi da motivi di paura o da ragione di odio.

Queste considerazioni valgono ancora oggi. I conflitti che esplodono all’interno delle élite appaiono sottili, talora persino impalpabili, sono spesso feroci e pieni di rancore. Il tono assertivo di Machiavelli (forse indispettito dall’ingenuità commessa dal suo leader preferito) non deve trarre in inganno.  La politica non è sempre una guerra permanente di tutti contro tutti, ma in certe occasioni tra i “grandi” possono esplodere conflitti di asprezza inusitata.

Questo rischio deve essere sempre preso in esame quando si indica un candidato per il Quirinale. Nel 2013 a Pierluigi Bersani è mancata la “prudentia” di Machiavelli come capacità di adattamento alle situazioni o forse – come a tutti può capitare – egli non ha seguito alla lettera le istruzioni di Francesco Guicciardini: “è grandissima prudenza avvertire e pesare bene ogni cosa benché minima”.

Prudenza e realismo politico non sono di moda tra i riformisti che non studiano più né Machiavelli né Guicciardini.

Ecco perché il modo migliore per concludere questo articolo è citare le celebri parole con cui Machiavelli inaugura una nuova etica della conoscenza, contrapponendosi alla retorica del “dover essere” che per secoli aveva dominato la scena:

Ma sendo l’intento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi è parso piú conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa che alla imaginazione di essa.

A più di 500 anni di distanza, pochi si interessano alla ricerca della verità effettuale. Il “dover essere” con tutte le sue doppiezze domina ancora la scena, sopratutto a sinistra. Ma non si esprime in dogmi o credenze. Si nasconde nelle forme più subdole linguaggio politicamente corretto.

Essere realisti sul Quirinale significa prendere atto che è molto più facile trovare una ristretta rosa di personalità di valore per la presidenza della Repubblica che trovare la persona giusta in grado di sostituire il ruolo politico e operativo di Draghi sul ponte di comando di Palazzo Chigi. Giulio Tremonti lo ha velenosamente paragonato a Francesco Schettino. Non è cosi. Draghi fa bene il suo lavoro di governo e contemporaneamente come ogni fine politico riesce a tenere insieme la sua maggioranza. Anche se per lui è stato più facile mettere d’accordo Francia e Germania che i litigiosi partiti italiani.


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