Un regolamento dell’Ue introduce nuovi dazi contro le principali aziende cinesi che esportano fibra ottica in Europa. Nel documento un j’accuse contro il dumping di Pechino. Banche, agenzie di rating, sovvenzioni, sussidi e prestiti. Ecco chi e come in Cina trucca il mercato (e chi opera in Italia)
Nuova stretta dell’Ue contro il dumping cinese. Martedì la Commissione europea ha imposto dazi contro un gruppo di aziende cinesi che operano nel mercato dei cavi in fibra ottica. Nel mirino dell’antitrust europeo sono finiti ancora una volta i due principali gruppi cinesi nella produzione di cavi, Ftt, che comprende FiberHome Telecommunication Technologies, e Ztt, di cui fa parte Jiangsu Zhongtian Technology.
L’accusa, formulata al termine di un’inchiesta partita dalla denuncia della più grande associazione di categoria europea, Europacable, è di ricevere sovvenzioni e agevolazioni dallo Stato cinese che distorcono il mercato. Di qui l’imposizione di un dazio compensativo del 10,3% contro Ftt e del 5,1% contro Ztt. È il secondo giro di vite dell’Ue contro le aziende cinesi. Già a novembre la Commissione ha imposto dazi contro i due gruppi cinesi. Una decisione opposta da Deutsche Telekom, che lavora con fornitori cinesi, ma accolta con soddisfazione dall’italiana Prysmian, membro di Europacable. In questo caso il torchio del regolatore europeo ha colpito l’export cinese di cavi di fibre ottiche monomodali.
Sovvenzioni, agevolazioni fiscali, rating falsati, prestiti a tassi fuori mercato. Secondo la Commissione il governo cinese ha messo un ampio ventaglio di strumenti per dare un vantaggio competitivo alle sue aziende per battere la concorrenza europea in un settore – la produzione ed esportazione di cavi in fibra ottica – che nei documenti ufficiali di Pechino viene definito “industria strategica emergente”.
Anche per l’Ue si tratta di un settore fondamentale, perché dalla fibra ottica dipende la costruzione e la diffusione della banda larga nonché della rete 5G cui è dedicata una fetta non indifferente del Recovery fund. Il mercato europeo ha un valore complessivo di circa 1 miliardo di dollari annui ma, denunciano da anni le associazioni industriali di settore, dipende troppo dalle importazioni cinesi, che ne ricoprono il 15%.
Una posizione di forza che per buona parte si spiega con il sostegno dello Stato cinese alle aziende in partita, denuncia oggi Bruxelles. “Essendo incoraggiata nella strategia «Made in China 2025», l’industria dei cavi di fibre ottiche è ammissibile a beneficiare di notevoli finanziamenti statali – si legge nel documento. Nonostante Pechino neghi la loro validità legale, decine di documenti strategici del governo cinese, tra cui il tredicesimo piano quinquennale, indicano nella fibra ottica uno dei settori chiave per competere con i mercati tech occidentali.
Sotto questo ombrello ricade la produzione dei cavi in fibra sottomarini, l’infrastruttura fisica che corre per migliaia di chilometri sotto gli oceani e garantisce il flusso delle informazioni nel mondo. “Vi sono chiare indicazioni del fatto che essere menzionati in uno di questi elenchi collegati alla strategia «Made in China 2025» non rappresenta una semplice osservazione elogiativa, ma comporta anche vantaggi finanziari associati”, scrive l’antitrust Ue, che nel regolamento (72/2022) lancia un vero e proprio j’accuse contro un sistema di alterazione del mercato che ha nel Partito comunista cinese la sua regia.
“La Commissione ha constatato che i gruppi di società inclusi nel campione hanno beneficiato di una varietà di programmi di sussidi, come i sussidi legati alla tecnologia, all’innovazione e allo sviluppo, i sussidi legati agli attivi, gli sconti sugli interessi dei prestiti, i sussidi a sostegno delle esportazioni”. Un flusso di finanziamenti e sovvenzioni che ha una precisa collocazione geografica, spiegano a Bruxelles. E cioè nella East Lake New Technology Development Zone di Wuhan, la città ritenuta epicentro globale della pandemia del Covid-19, in un’area ribattezzata “Optics Valley” perché qui nascono e sono foraggiate le più grandi aziende cinesi di settore.
Non si parla di “spintarelle” del governo, ma di fiumi di denaro pubblico. Alla fine del 2019 il gruppo Ftt “aveva 393,8 milioni di Cny di reddito differito (circa 60 milioni di dollari, ndr) in sovvenzioni governative e 45,8 milioni di Cny di sovvenzioni governative sotto forma di altre entrate”. Nell’anno passato, conclude l’inchiesta, lo stesso gruppo ha beneficiato di un tasso di sovvenzione dell’1,79%.
Dietro il castello di agevolazioni c’è una lunga trafila di istituti finanziari “che agiscono in qualità di enti pubblici”. Come la Exim (Export Import Bank of China), banca nota anche in Italia perché tra le principali finanziatrici della nuova Via della Seta di Xi Jinping, di cui secondo la Commissione il governo cinese “detiene, direttamente o indirettamente, oltre il 50% delle azioni”.
Un gruppo di banche di cui Pechino decide nomine, vertici e strategia, che mette le ali agli esportatori di fibra ottica in Europa con “prestiti a tassi d’interesse prossimi o inferiori al tasso di riferimento della People’s Bank of China (PBoC)”. Non a caso la Commissione Ue “ha stabilito sulla base delle medesime informazioni che gli istituti finanziari statali sarebbero da considerare investiti, da parte del governo della RPC, dell’incarico o dell’ordine di svolgere funzioni che di norma spettano alla pubblica amministrazione”.
A fare da contraltare ai prestiti a tassi stracciati e alle linee di credito delle banche a controllo pubblico c’è un sistema di rating “non affidabile”, accusa Bruxelles. Così se in Cina i due gruppi Ftt e Ztt hanno ricevuto un rating rispettivamente di AAA e AA+, la Commissione ritiene che il “vero” rating in entrambi i casi sia BB.
La lista dei “trucchi” denunciati dall’antitrust europeo è lunga. Fra questi, la concessione da parte dello Stato di immobili e terreni alle aziende che guidano l’export della fibra ottica con un metodo giudicato “non trasparente” perché “le autorità fissano arbitrariamente i prezzi”.
Non tutte le aziende europee nel settore della fibra esultano per il pugno duro del regolatore a Bruxelles. Il timore non infondato, specie per chi da anni fa affari con Pechino, è che le nuove regole attirino contromisure e si abbattano sui bilanci e sui consumatori, con un inevitabile aumento del prezzo dei cavi. Per la Commissione però “esiste una capacità sufficiente nell’Unione e in altri paesi terzi per sostituire le importazioni originarie della Cina”. Di più: “L’istituzione di misure compensative consentirebbe all’industria dell’Unione di investire nei siti di produzione dell’Unione e in nuove tecnologie a vantaggio dell’industria utilizzatrice”. Si gioca anche qui il futuro dell’ “autonomia strategica” europea sbandierata dalle istituzioni Ue.