Se si tiene conto delle eredità del 2021 e delle incertezze sull’esito dell’agenda per il 2022, si ritorna alla questione di fondo: occorre che l’Italia attui vere riforme senza tentennamenti e in questo modo dia all’Europa e ai mercati un chiaro segnale di risanamento e rinnovamento
Il 2021 si chiude con un notevole progresso rispetto al picco della recessione del 2020, ma i positivi risultati raggiunti non rassicurano famiglie, imprese e governanti che il cammino verso una ritrovata prosperità sarà facile, perché vecchi problemi irrisolti si sommeranno ai nuovi che si intravedono all’orizzonte.
Alcune certezze, tuttavia, appaiono sin d’ora e si pongono come inevitabili nodi da sciogliere se non con notevoli cambiamenti, molto più incisivi delle modeste riforme che sono state varate finora. La principale certezza è che la lotta alla pandemia è lungi dall’essere vinta, perché ha assunto un carattere endemico e molto dannoso per la convivenza sociale e la ripresa dell’economia, in un decorso che comporta costi notevoli per i bilanci di tutti oltre che per il risanamento della finanza pubblica. La necessità di un ritorno, benché parziale al lockdown, possibile anche su limitati territori, e le chiusure di alcuni esercizi del settore terziario comportano che il Paese perda una fetta importante del suo prodotto annuo insieme a problemi occupazionali che chiamano in soccorso la spesa pubblica.
In ordine di priorità la seconda certezza è che il bilancio pubblico continuerà nella tradizione degli ultimi sette anni senza offrire alcuna prospettiva di rientro su posizioni che siano sostenibili senza aver bisogno del soccorso dell’Ue e ancor più della Bce. Lo conferma la legge finanziaria definitivamente approvata nel segno dello spendi e spandi. Tante piccole e grandi regalie dirette, tra l’altro, a ridurre l’offerta di lavoro a seguito delle nuove misure di protezione sociale che incrementano l’uscita prematura dal mondo del lavoro, tra cui la controriforma delle pensioni, il nuovo fondo per l’uscita anticipata, l’APE sociale, e l’estensione della Cassa Integrazione e del reddito di cittadinanza.
Altra spesa di parte corrente a cui si doveva fare a meno in un periodo di ripresa in disavanzo è la rimozione dei tetti sugli stipendi pubblici, che erano stati introdotti dal governo Monti. Più costruttive le risorse destinate ai programmi di inserimento o rientro al lavoro, come quello denominato Garanzia di Occupabilità (GOL), ancora da definire nei dettagli, a cui peraltro si affiancano fondi cospicui per i consueti strumenti che hanno finora funzionato poco, come i Centri per l’Impiego. Nel complesso un’iniezione di domanda per 32 miliardi, con l’effetto di spingere ancor più una ripresa già in atto e che è alimentata per i prossimi anni dai finanziamenti del Pnrr e dal mantenimento di grandi quantità di titoli pubblici nel bilancio della Bce. Il Pnrr è considerato da molti come un lasciapassare per una spesa facile, quando in realtà sarà vincolato a condizioni più stringenti di quelle blande applicate nel 2021. Parimenti, si confida molto su un lungo prolungamento dell’atteggiamento accomodante della politica monetaria, mentre è evidente che se l’inflazione non dovesse scendere entro metà 2022, le pressioni per un irrigidimento sarebbero irresistibili.
Una terza certezza consiste nel dover avanzare nelle riforme come condizione in primis per alimentare una crescita duratura dopo il forte rimbalzo avvenuto nel 2021, e in secondo ordine, per meritare la solidarietà finanziaria dei paesi dell’Ue. Il capo del governo ha da ultimo annunciato che tutti e 51 obiettivi del primo anno del Pnrr sono stati raggiunti e che obiettivi più ardui sono stati assunti per il nuovo anno.
Una certezza è anche che le rivoluzioni in atto della digitalizzazione nella maggioranza dei processi produttivi e della transizione ecologica non subiranno battute di arresto, ma continueranno a progredire rapidamente come avvenuto nel decennio scorso e condizioneranno sia la competitività delle nostre imprese, sia la capacità del Paese di non perdere terreno rispetto agli altri nella creazione di ricchezza nazionale. Saranno necessari una serie di grandi cambiamenti in ogni campo e un grande sforzo di formazione di competenze. La gradualità dei primi non è assicurata in un mondo aperto alla competizione, mentre la seconda prenderà tempi più lunghi per la carenza di formatori e le diffuse resistenze a modificare modelli educativi tradizionali, troppo orientati sulle discipline umanistiche.
Queste alcune delle principali certezze ereditate dall’anno appena terminato, che si pongono in chiave problematica, a cui il Paese non può sfuggire e su cui si gioca la sua collocazione nel contesto internazionale. Accanto ad esse si profilano rilevanti aree di incertezza, che complicano il compito dei governanti nella loro strategia di risanamento del Paese. Ovviamente la prima da considerare riguarda l’evoluzione della sfera politica, che deve affrontare le elezioni presidenziali e la fase preparatoria alle elezioni parlamentari del 2023. Entrambe hanno un peso sulle aspettative degli operatori economici e sulle decisioni d’investimento, essenziali per il successo della strategia di ripresa e in particolare del Pnrr.
Incertezza anche sulla possibilità di tenere a bada il Covid senza dover introdurre dannose restrizioni alle attività economiche. Molto dipenderà dai progressi della scienza medica nello scovare un efficace antidoto e dal senso di responsabilità degli italiani nell’attenersi alle precauzioni anticontagio. La scienza ha finora fatto la sua parte, mentre una parte, benché minoritaria, degli italiani rifiuta, creando quindi nuovi pericoli di contagio per gli altri. Un esempio è fornito dal prossimo passaggio di quattro regioni in zona gialla per effetto dell’impennata dei contagi e dei ricoveri nelle strutture ospedaliere. In assenza di cambiamenti nei comportamenti sociali si allontana la possibilità di un normale convivere delle attività con il virus pandemico
Molto incerta l’evoluzione del quadro economico internazionale in un contesto di tensioni tra le maggiori potenze e di notevoli rincari dei prodotti primari e dell’energia. La crescita economica dei paesi dell’Oecd è in rallentamento dal quarto trimestre del 2021 e si stima che questo andamento continuerà a pesare sui risultati del primo trimestre del 2022. Le ragioni di scambio dei paesi produttori di materie prime e prodotti petroliferi con i paesi industrializzati si sono rovesciate a vantaggio dei primi, che significa che i secondi dovranno trasferire una porzione più grande del loro prodotto ai primi. La reazione delle imprese in un ambiente caratterizzato da ampia liquidità accumulata e forte ripresa della domanda si è vista nell’incremento dei prezzi, che può innescare una spirale di aumenti che sarà costoso interrompere con misure di restrizione della domanda.
A sospingere l’inflazione contribuiscono i ritardi nella ricostituzione delle filiere del valore o catene di forniture dopo le rotture dello scorso anno e le strozzature nella disponibilità di forze di lavoro pronte per l’impiego. Molti imprenditori denunciano la difficoltà a coprire i posti vacanti e a ricevere le forniture necessarie per portare avanti le produzioni. La crisi nelle forniture di microchip ha costretto a tagliare la produzione in settori importanti, come l’automotive e il digitale. Altri imprenditori, particolarmente nelle industrie energivore, lamentano l’eccessivo rialzo dei costi dell’energia che rende poco convenienti le loro produzioni.
A rendere più difficile il contesto contribuisce la conflittualità accentuata tra la maggior potenza economica, gli USA, e la grande potenza emergente, la Cina, che si riverbera sulla libertà dei commerci internazionali, sulle filiere di produzione e sui flussi di investimento. L’espandersi di restrizioni e barriere tariffarie e non tariffarie rischia di mettere in crisi due motori della crescita economica dell’ultimo trentennio e a farne le spese sarebbero, tra le altre, le economie dell’UE. Le tensioni con la Russia, grande fornitore di energia all’UE, aggraverebbero le spinte all’inflazione e i rischi per la crescita.
Una grande incertezza circonda, altresì, la capacità delle riforme, a cui il governo si è impegnato, di incidere realmente nel tessuto economico, nei comportamenti delle famiglie, nel funzionamento della pubblica amministrazione e nella costruzione di infrastrutture che generino maggiore produttività nel sistema. Il capo dell’esecutivo ha dichiarato che tutti e 51 obiettivi previsti dal Pnrr per il 2021 sono stati raggiunti entro fine anno, mentre in realtà nella bozza di relazione al Parlamento si nota che alcuni non sono completati e altri appaiono raggiunti sulla carta e non sul campo, senza contare che altri ancora hanno un impatto marginale sulla crescita economica. Esempi: ritardi nella digitalizzazione degli ospedali, nell’assunzione di esperti per assistere le Regioni a disegnare progetti validi, nelle misure anti-inquinamento, in quelle per una selezione di qualità dei nuovi tecnici per la Pa, e nella riforma dell’istruzione terziaria. Anche nei casi in cui gli impegni assunti sono stati rispettati, come nel campo della giustizia, non producono effetti in breve tempo, né comportano una significativa semplificazione delle procedure e rapidità nei giudizi. Più fecondi, invece, gli interventi per la Transizione 4.0, l’internazionalizzazione e la realizzazione dei progetti europei IPCEI per le tecnologie strategiche.
Altra grande incertezza grava sulla riforma del Patto di Stabilità e Crescita dell’area euro, da attuare prima del 2023, quando finirà il periodo di sospensione in corso. L’Italia, con un debito pubblico fuori misura di sostenibilità in rapporto alla sua capacità di servirlo nel medio termine senza eccessivi oneri e con disavanzi di bilancio esplosi in rapporto alla crescita nominale sin dal primo anno di pandemia, ha molto da temere da un ripristino delle regole esistenti. Ne conseguirebbe una camicia di forza sulla sua politica macroeconomica. Fortunatamente, la Francia oltre ad altri Paesi del Sud-Europa condividono in parte lo stesso problema, in contrasto col gruppo di paesi nordici, che sostengono il ripristino del Patto con modifiche marginali. Le ultime proposte italiane e francesi vanno nella direzione di introdurre regole sulla spesa pubblica che allungherebbero i tempi del rientro del debito sorto in contropartita degli investimenti a favore della crescita e degli obiettivi comunitari come quelli del Pnrr. Per la parte di debito accumulato per fronteggiare la crisi sanitaria si propone un’esternalizzazione a un ente europeo che lo gestirebbe con i contributi pro-quota di ciascun stato debitore. Questa, al pari delle altre proposte avanzate da esperti ed accademici, sono interessanti soluzioni, ma per tradursi in realtà devono trovare l’accordo della Germania e degli altri paesi dell’area euro, e devono tenere conto dell’atteggiamento dei mercati finanziari e della politica monetaria della Bce. La Germania non si è ancora pronunciata, la Bce non sembra destinata a mantenere a lungo l’atteggiamento ultra-accomodante tenuto in questi due anni di fronte alle tensioni sui prezzi e i mercati torneranno a chiedere sostanziosi compensi per i rischi più elevati.
Se si tiene conto di tutte queste eredità del 2021 e delle incertezze sull’esito dell’agenda per il 2022, si ritorna alla questione di fondo: occorre che l’Italia attui vere riforme senza tentennamenti e in questo modo dia all’Europa e ai mercati un chiaro segnale di risanamento e rinnovamento.