Intervista al delegato di Confindustria per l’energia. Il governo ha evitato il peggio, ma le soluzioni tampone non bastano per salvare le imprese dal disastro. Francia, Stati Uniti e Germania già si sono mosse. Bisogna intervenire subito sugli stoccaggi e cominciare a estrarre il gas che abbiamo sotto i nostri piedi. E a breve una proposta per la riforma del mercato elettrico
Solo a pensarci, viene la pelle d’oca. Il costo di un’intera manovra, tra i 30 e 40 miliardi di euro, interamente scaricato sul sistema industriale italiano, a cominciare dalle piccole e medie imprese. Succede nell’ormai terzo anno di pandemia, al tempo della variante Omicron. L’Italia, e questo non è certo un mistero, ha sempre comprato energia, dall’Algeria, dalla Russia, fa poca differenza.
Niente nucleare, un po’ di petrolio in Basilicata e gas nell’Adriatico, ma lungi dall’essere estratto. Energia domestica sacrificata sull’altare della tutela ambientale. E così, le imprese italiane si ritrovano a pagare gas e luce il doppio, il triplo di altri Paesi, iscrivendo a bilancio poste di spesa pesantissime ed erodendo i ricavi. E riversando i costi maggiorati sui consumatori finali, come da legge di mercato.
Se poi ci si mette di mezzo anche l’inflazione, accesa dall’impetuosa domanda a valle di un anno di lockdown sparsi per il mondo, ecco che il calcoli di Confindustria non possono e non devono stupire. Il costo dell’energia per le imprese nel 2019 è stato di 8 miliardi, nel 2021 di 20 miliardi e la previsione per il 2022 è di 37 miliardi. Praticamente come se un’intera Finanziaria fosse stata scaricata sulle spalle delle industrie italiane.
Il governo di Mario Draghi è sì intervenuto, con azioni di calmieramento sulle bollette. E sì, il Paese può contare su 18 miliardi di metri cubi di stoccaggio e sul gasdotto Tap, che porta il gas dell’Azerbaijan in Italia. Ma non basta, servono soluzioni strutturali, di medio-lungo periodo. Formiche.net ne ha parlato con Aurelio Regina, delegato di Confindustria per l’energia.
Il rialzo dei prezzi dell’energia sta diventando pressoché insostenibile per le imprese italiane, energivore in testa. Basti pensare all’industria cartaria. Come disinnescare una mina che rischia di spazzare via una parte del nostro sistema industriale?
L’insostenibilità della situazione attuale è evidente considerando le numerose imprese che stanno decidendo di interrompere la produzione nei primi mesi del 2022 nonostante i numerosi ordini ricevuti grazie al periodo di ripresa economica. Se infatti nel 2021 operazioni di fixing (fissaggio, ndr) del prezzo eseguite ante rally hanno permesso di mitigare, in tutto o in parte, la salita vertiginosa delle quotazioni di mercato, nel 2022 tale effetto viene ulteriormente ridursi, lasciando i consumatori ancora più esposti all’andamento dei prezzi spot.
Possiamo dare la cifra di questa escalation?
Il prezzo unico dell’energia elettrica nel nostro Paese è aumentato notevolmente nell’ultimo anno, raggiungendo i 281,24 euro/MWh nel dicembre 2021 rispetto ai 54,04 euro/MWh del dicembre 2020 (+ 421%). Questa escalation deriva dall’assetto del mercato dell’energia elettrica italiano caratterizzato da due driver principali, il costo del gas naturale, aumentato di circa il 600% nel 2021, e il valore dei titoli emissivi nel sistema Ets (il sistema di scambio di quote di emissione dell’Unione europea, principale strumento utilizzato dall’Ue per controllare le emissioni di inquinanti e gas a effetto serra, ndr), anch’esso arrivato alla soglia record di circa 80 euro/tCO2.
In particolare, le quotazioni del gas naturale nei mercati europei stanno registrando degli andamenti di crescita esponenziale: il prezzo della commodity in Italia è arrivato nel dicembre 2021 al valore medio di 113,344 euro/MWh rispetto ai 16,461 euro/MWh nel dicembre 2020 ( + 589%) e nei primi mesi del 2022 non ci aspettiamo miglioramenti rilevanti.
Il quadro è chiaro Regina. Ora però occorre rimediare. Che si fa?
La situazione eccezionale ci porta però a dover ragionare su linee di intervento congiunturali oltre che strutturali. Riteniamo fondamentale intervenire in sede nazionale con misure contingenti, per la sopravvivenza del tessuto industriale del Paese. Molte delle principali economie si sono già mosse, basti pensare all’amministrazione Usa che ha autorizzato il rilascio di 50 milioni di barili di petrolio dalla Strategic Petroleum Reserve (Sps) o il governo francese che, con il Decreto 420 del 10 aprile 2021, ha modificato i termini del regime di abbattimento della tariffa per l’utilizzo delle reti elettriche pubbliche riservato ai settori industriali, eliminando il parametro dell’elettro-intensività dai criteri di ammissibilità e contravvenendo, così, alle regole comunitarie. Recente è anche la richiesta dei consumatori industriali tedeschi verso il proprio governo, con la richiesta di un intervento immediato sulla tassa legata alle rinnovabili.
Tutti esempi virtuosi. Ma l’Italia?
L’Italia non può permettersi di restare indietro e deve attivare subito una forma di approvvigionamento in pool di gas naturale per soddisfare il fabbisogno dei settori industriali nazionali nei prossimi mesi, stabilizzare le misure dell’interrompibilità, elettrica e gas, dell’agevolazione ai settori a forte consumo di energia, energivori e gasivori e del contrasto alla delocalizzazione causata dalle politiche climatiche europee.
Però c’è un problema si potrebbe dire storico. E cioè che l’Italia compra energia da sempre. Eppure, abbiamo gas nell’Adriatico e in Basilicata persino del petrolio. Diventare indipendenti dall’oggi al domani è impossibile, ma almeno da dove cominciare?
L’Italia è un Paese importatore netto di commodities energetiche, la cui economia si basa sulla trasformazione di materie prime anch’esse per la maggior parte importate. Alla base dell’escalation dei prezzi dell’energia e del gas naturale non vi è solo la ripresa dei consumi energetici dopo la fase acuta della pandemia ma si possono osservare diverse concause, fra cui i ridotti flussi di gas dalla Russia sulla rotta ucraina, la carenza di carichi di Gnl nel contesto europeo e l’aumento delle quote di emissione nel mercato Ets.
Voi imprenditori avete più volte sollevato il problema…
Confindustria ha da tempo sostenuto l’importanza di riconoscere il gas naturale quale fonte fossile a minori emissioni di gas serra e attore chiave nel contesto della transizione energetica. I settori manifatturieri lo utilizzano per la produzione efficiente di energia elettrica e calore per alimentare i processi produttivi ed il settore elettrico ne sfrutta la flessibilità per accompagnare la crescita delle fonti rinnovabili, mantenendo adeguato e sicuro il dispacciamento dell’elettricità nella rete. Utilizzare le riserve non pienamente sfruttate presenti nel nostro Paese non rappresenta solo una opportunità di lavoro per l’indotto del settore, l’abbassamento del costo dell’energia e la crescita della sicurezza energetica nazionale ma significa anche ridurre le emissioni.
Abbiamo l’energia sotto i nostri piedi e non la usiamo…
Nel consumare gas naturale a km zero si risparmiano infatti le emissioni legate al trasporto. Oggi le riserve nazionali recuperabili sono corrispondenti a circa 70-80 miliardi Smc (l’unità per la misurazione del gas usato a scopi energetici, ndr), superiori quindi ad un intero anno del consumo complessivo italiano, senza considerare che ulteriori giacimenti sono continuamente scoperti nel mediterraneo.
Abbiamo già accennato alle misure che servirebbero. Il governo è intervenuto prontamente per evitare il peggio, di questo va dato atto. Ma la sensazione è che siano interventi poco strutturali e verticali. Lei che dice?
Pur plaudendo l’intervento del governo volto a ridurre i costi dell’energia per i consumatori civili nel dl Bollette e nella manovra, siamo fermamente convinti che questo serva solo a tamponare una situazione di profonda crisi destinata a perdurare se non si procederà con un approfondimento che porti a modifiche strutturali dei mercati energetici, scongiurando il ripetersi di situazioni del genere. In particolare, evidenziamo come ora sia necessario intervenire con misure straordinarie anche sui settori produttivi per evitare ricadute occupazionali, economiche e sociali.
Tracciamo una rotta…
Con riferimento al campo di applicazione del provvedimento è prima di tutto necessario chiarire che gli effetti sul sistema delle pmi sono limitati a non oltre il 30% delle imprese mentre per il restante 70% stiamo assistendo ad effetti drammatici sul costo della bolletta elettrica. In particolare, si è riscontrato un incremento della bolletta nel 2021 sul 2020 per una pmi manifatturiera di circa il 48% se l’impegno di potenza è di 50 KW, di circa il 239% se l’impegno di potenza è di 1.000 KW e di circa il 193% se l’impegno di potenza è di 2.500 KW. È inoltre importante sottolineare come l’eccezionale rapidità dell’aumento dei mercati energetici, non ha permesso alle imprese di adeguare i prezzi dei beni prodotti e, sulla base dei dati forward, non vi sono segnali di attenuazione per tutta la prima metà del 2022.
Da Confindustria dobbiamo aspettarci nuove proposte in materia?
Sì, al fine di implementare in modo efficiente il nuovo paradigma della sostenibilità energetica, abilitare la partecipazione attiva della domanda al mercato e adeguare il sistema al nuovo assetto competitivo, Confindustria presenterà a breve una proposta di riforma organica del mercato elettrico.