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Huawei a caccia di chip per risollevarsi dopo le sanzioni Usa

Alle prese con i conti in rosso e le restrizioni di Washington, il colosso di Shenzhen ha lanciato un fondo per investirsi in aziende della supply chain dei semiconduttori. Una mossa in linea con la spinta di Xi all’autosufficienza

Da due anni ormai, Huawei è alle prese con le restrizioni statunitensi sull’acquisto dei semiconduttori, cruciali per le sue produzioni. Il colosso cinese, accusato da Washington di spionaggio per conto del governo di Pechino (addebiti sempre negati dalla società), sta facendo i conti con le difficoltà economiche, industriali e geopolitiche, strettamente connesse fra loro. Tanto che nel 2021, la prima volta nella sua storia, il fatturato annuo dell’azienda cinese è risultato in negativo, del 29 per cento. Pesano la pandemia Covid-19 e, appunto, le sanzioni americane.

Così, l’azienda di Shenzhen sta investendo in società nella catena di fornitura di semiconduttori della Cina: produzione e progettazione di chip, ma anche di materiali, oltreché software. Il tutto viene attraverso il fondo Hubble Technology Investment guidato da Bai Yi, storico dirigente Huawei, e lanciato nel 2019, all’inizio delle tensioni con gli Stati Uniti. Sulle dimensioni del fondo Huawei, società privata, non ha diffuso i numeri. Il Wall Street Journal ha rivelato che Hubble Technology Investment fondo ha sostenuto 56 aziende dalla sua fondazione e che quasi la metà degli investimenti è stata fatta negli ultimi sei mesi, cioè nella fase in cui le restrizioni americane hanno iniziato a mordere di più.

L’obiettivo è chiaro: trovare un accesso ai chip dopo le restrizioni statunitensi che hanno colpito le vendite di smartphone, frenato le apparecchiature 5G e paralizzato HiSilicon Technologies, società del gruppo che si occupa di progettazione di chip. La mossa di Huawei appare in linea con le indicazioni del presidente cinese Xi Jinping, deciso a spingere il piano Made in China 2025 l’autosufficienza economica per far fronte a minacce esterne come le sanzioni statunitensi sulle tecnologie emergenti.

In generale, Huawei predica resilienza e cerca soluzioni alternative, come dimostrano le mosse sui semiconduttori. Nelle scorse settimane l’Economist si interrogava sul futuro del colosso tra la resistenza alle sanzioni americane nella speranza di una “fase di seconda startup” e una sorta di “distruzione creativa” schumpetariana disperdendo un esercito di 105.000 ingegneri per favorire la crescita di centinaia di nuove imprese. Non sembra del tutto fuori dal tavolo l’ipotesi di quotazione, evocata in primavera, dopo i conti in rosso del primo trimestre, da Ren Zhengfei, fondatore del colosso del 5G. Appuntamento a marzo, quando Huawei rilascerà il suo tradizionale rapporto annuale.

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