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Inflazione, gas, materie prime. Pomicino sulla (vera) emergenza Italia

Inflazione, disuguaglianze, supply chain all’aria e carenza di materie prime. Quale forza politica parla oggi di questa peste? Nessuna, e tutti tentano di attenuare gli effetti mentre si evita di intervenire sulle cause. Il commento di Paolo Cirino Pomicino, già ministro del Bilancio e della programmazione economica

Il tasso di inflazione in Europa e nel mondo si è impennato da diversi mesi a questa parte. Negli Usa ha superato il 6%, in Germania è al 5,2%, in Europa al 4,9% e in Italia al 3,8%, dati tutti riferibili al novembre scorso. Un contesto economico-finanziario come quello che stiamo vivendo non poteva che alimentare una crescita dei prezzi al consumo e alla produzione.

Una forte, improvvisa domanda di beni di consumo e di beni durevoli accompagnata a politiche monetarie molto espansive è un contesto che non poteva non far crescere l’inflazione. Ma est modus in rebus! Tutti sapevano che il tasso di inflazione sarebbe aumentato ma non a questi livelli e con caratteristiche che a oggi lasciano immaginare che non si tratti di un fenomeno transitorio, come affermano le banche centrali più per paura di essere chiamate a un rialzo dei tassi di interesse che non per forti convinzioni.

Non c’è dubbio che sul contesto pro-inflattivo descritto hanno giocato una serie di altri fattori, a cominciare da un’offerta affannata per la scarsa disponibilità di materie prime, come ad esempio il litio che frena così la produzione di semiconduttori con effetti domino su tutta una serie di produzioni industriali cominciando dall’auto e dall’intero settore automotive.

A tutto questo si sono aggiunti i cosiddetti colli di bottiglia nel settore della logistica e del trasporto navale che movimenta l’80% delle importazioni mondiali. Nessuno prevedeva, ad esempio, che i costi di spedizione dall’Estremo oriente sarebbero saliti in un solo anno del 580%. Un container, infatti, dall’Estremo oriente è passato da un prezzo di 2500 euro a uno di 17mila euro.

I motivi sono molteplici. La riduzione del numero dei container disponibili, dismessi nell’anno precedente e richiestissimi nella seconda metà dell’anno in corso, un incremento dei noli dalla Cina e da Singapore che sono lentamente diventati monopolisti nel trasporto navale dall’oriente all’occidente, l’aumento dei costi della movimentazione merci nei porti di attracco, l’aumento del carburante su cui torneremo tra poco.

Per contrastare questi costi altissimi e rendere così transitorio l’impatto sui prezzi al consumo e alla produzione c’è bisogno di porti nel Mediterraneo, nel mar Nero e nel canale di Suez capaci di ricevere navi portacontainer di 15mila teu (sei metri cadauno). Un riassetto funzionale dei porti è necessario anche negli Usa dove ad esempio nel porto di Los Angeles le navi sostano diversi giorni prima di attraccare e scaricare con un aumento dei costi non indifferenti.

Insomma una rivisitazione in occidente della portualità commerciale e della disponibilità di navi portacontainer più grandi sono gli strumenti per contrastare nel medio periodo quella sorta di signoria che l’oriente sta consolidando anche attraverso la Via della seta. L’altro grande elemento responsabile dell’aumento del tasso di inflazione è il caro energia, a cominciare dal gas.

Da diversi mesi, infatti, il prezzo del gas in Europa oscilla tra 80 e 90 euro a megawattora mentre lo scorso anno il prezzo era di 10 euro. Le varie cause che sostengono quest’impennata dei prezzi sono state indicate e sono tutte racchiuse in una carenza di offerta per ragioni geopolitiche (il gas russo), le basse scorte, minori arrivi navali di gas liquefatto, l’improvviso rialzo della domanda mondiale e via di questo passo.

Il complessivo ammanco dell’offerta, però, è stato calcolato nella riduzione delle scorte del 25% mentre i prezzi sono aumentati di ben nove volte. E arriviamo così al nodo del problema di cui quasi nessuno vuole parlare e cioè la responsabilità della finanza speculativa sulle materie prime. I volumi di negoziazioni mensili dei futures del gas all’Ice di Londra sono passati da due a cinque milioni negli ultimi due mesi.

Ciò che vediamo a Londra avviene in tutte le piazze e in tutti i mercati delle materie prime nei quali il valore dell’aumento degli scambi dei futures (strumenti nati per assicurare i venditori e gli acquirenti di materie prime) arriva a superare di quindici- venti volte quello della produzione fisica di ciascuna materia prima. È la cosiddetta finanziarizzazione delle materie prime che dovrebbe essere impedita perché esse sono la vita del mondo.

La forza politica ed economica dei rentier finanziari è diventata travolgente anche grazie all’intreccio proprietario con la grande informazione mondiale che mette un freno a ogni iniziativa dei vari governi per attenuare quella che definisco la peste del terzo millennio, e cioè la finanziarizzazione dell’economia mondiale che alimenta disuguaglianze con ricchezze elitarie e povertà di massa.

Quale forza politica parla oggi di questa peste? Nessuna, e tutti tentano di attenuare gli effetti su famiglie e imprese mentre si evita di intervenire sulle cause. Dovrebbe essere un tema dell’Unione europea e a seguire del G20 ma purtroppo nessun governo assume una iniziativa, neanche il nostro mitico Mario Draghi. E così nell’occidente democratico cresce un fiume carsico di rabbia sociale dagli esiti imprevedibili.


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