Skip to main content

Invasione dalla Bielorussia, mediazione turca. Evoluzioni sul dossier Ucraina

Tutto pronto per l’invasione dell’Ucraina? L’amministrazione Biden teme il peggio e pensa a un’ipotesi di attacco di Mosca dalla Bielorussia. Intanto la Turchia vuole un suo ruolo nella crisi, ma…

Cercando spazio sui più indecisi alleati europei, coinvolta in modo diretto con le forniture militari (droni) a Kiev, mossa da un accordo di cooperazione difensiva, speranzosa di dimostrarsi operativa e produttiva agli occhi di Washington (per ricevere un vantaggio tra i partner in ottica pragmatica) e non da meno interessata a diffondere le proprie capacità politiche diplomatiche secondo lAnkara Consesus erdoganiano, la Turchia si è offerta di mediare tra Russia e Ucraina. “Grazie, ma no grazie” è la risposta da Mosca, niente tavolo negoziale ma è ben accetto, “lodabile”, ogni sforzo per riportare l’Ucraina al rispetto degli Accordi di Minsk, dicono i russi, che sono i primi a non aver mai voluto implementare quegli accordi. A inizio febbraio il presidente Recep Tayyp Erdogan sarà a Kiev.

È una delle evoluzioni più interessanti della crisi in diretta al confine ucraino, dove da settimane la Russia ha ammassato migliaia (centomila, forse di più) di truppe. La Casa Bianca è convinta che sia possibile persino possibile un’invasione in stile classico, e questa è un’evoluzione relativamente nuova. Sebbene un’azione ibrida (infowar, attacchi cyber, operazioni psicologiche, missioni clandestine e false flag, militari senza insegne come i Little Green Men e tutte le varie misure attive aggiornate) sia ancora in cima alla lista delle possibilità, adesso i funzionari che hanno visto i report di intelligence più aggiornati dicono ai media statunitensi che ci sono buone possibilità che con la Russia sia intenzionata a invadere e arrivare a Kiev. Non è chiaro quanto queste dichiarazioni siano preoccupazioni veritiere oppure servano a mettere pressione su Mosca — ossia siano parte di una contro campagna informativa.

Certo è lo sbilanciamento militare a favore dei russi, come si vede dall’infografica costruita dal Financial Times se si parla di forze classiche. Mentre l’intelligence militare di Kiev segnala che al confine sono state predisposte anche strutture logistiche, stoccate munizioni e allestiti ospedali da campo.

Anche per questo, dopo i rinforzi inviati da Londra (missili anticarro che potrebbero essere utili se i blindati russi entrassero dal Donbas, per esempio), l’amministrazione Biden sta pesando a nuove opzioni, tra cui fornire più armi all’Ucraina per resistere a un’occupazione russa. Armi tattiche, non strategiche, che non dovrebbero dunque servire a respingere d’emblée le Forze armate di Mosca, ma cercare di aumentare i costi per il presidente Vladimir Putin se dovesse decidere di invadere il paese. Putin non è più roccioso, tiene a fatica il potere in mezzo alla crisi economica (accentuata dal Covid). Ci sono buone possibilità che una campagna sanguinosa e costosa possa non essere sostenuta dalla popolazione, nonostante la pesante spinta narrativa e propagandistica con cui il governo prepara costantemente i russi alla guerra.

Tra i movimenti in evoluzione c’è anche quello sul fronte bielorusso, dove si interseca la tattica militare con la narrazione strategica. Un briefing di contesto fornito ai giornalisti dal dipartimento di Stato statunitense ipotizza che quella potrebbe essere la via di attacco: in parte sorprendente rispetto all’azione dall’Ucraina orientale, sebbene da tempo segnalata tra i punti di assembramento dei militari russi. Mosca ha inviato altre unità dichiarando che si spostano per esercitazioni congiunte con le Forze armate di Minsk, ma queste attività non erano state messe in agenda. La tempistica è un pessimo segnale.

Il regime di Alexander Lukashenko è stato salvato dalla Russia quando nell’agosto 2020 ha traballato sotto le proteste di massa organizzate dalle opposizioni interne. Questa evidente debolezza strutturale porta il batka bielorusso a essere più soggetto alla dipendenza da Mosca. Putin ne è consapevole, la Russia Bianca è parte della narrazione etnonazionalista che accompagna la sua azione politica, e dunque la Bielorussia viene coinvolta in maggiore profondità (in quanto può essere usata anche per giustificare certe mosse azzardate con i russi).

Da tempo batterie Iskander-M (missili tattici a potenzialità nucleare) sono state posizionate nel territorio meridionale bielorusso: sono parte della guerra psicologica contro Kiev, servono a dimostrare l’unità della Grande Russia, costruiscono una narrazione per mettere dubbi agli ucraini. Gli Stati Uniti considerano le esercitazioni militari con la Russia legate al possibile referendum costituzionale in Bielorussia a febbraio, che potrebbe aprire la strada a Mosca per stazionare truppe nel territorio bielorusso: si parla anche di un posizionamento di armi nucleari.

La punta meridionale bielorussa, davanti a Chernobyl, è divisa da Kiev soltanto dal Kyiv Reservoir sul Dneper: l’invasione sarebbe rapidissima e le truppe russe non dovrebbero nemmeno oltrepassare il fiume, perché accedendo dalla Bielorussia se ne troverebbero già al di là. Si tratta di preoccupazioni geo-tattiche di cui il segretario Antony Blinken terrà conto nei suoi incontri a Kiev e a Berlino di questi giorni: visite preparatorie prima del meeting con la controparte russa, Sergei Lavrov, a Ginevra — faccia a faccia nel contesto del dialogo in corso tra Russia e Usa (e Nato e Unione Europea). E intanto esce uno scoop di Axios: il primo ministro israeliano Naftali Bennett ha proposto un summit Russia-Ucraina a Gerusalemme a Putin nel loro incontro dello scorso ottobre, ma lui ha rifiutato.



×

Iscriviti alla newsletter