Skip to main content

Italia nel Sahel, è tempo di scegliere come combattere il jihad

La missione ha lo scopo di combattere il terrorismo fin dal 2013, ma dopo anni di operazioni, decine di morti francesi, il jihadismo continua a espandersi. Mentre la Svezia annuncia l’abbandono del campo per l’intervento della Wagner, l’Italia è arrivata alla sua piena operatività. Ma ora difendersi non basta più

Il contingente militare italiano nel Sahel ha raggiunto la piena capacità operativa (Foc, Full Operational Capability) nell’ambito dell’Operazione Barkhane, coalizione internazionale a guida francese. Gli italiani opereranno nella Task Force Takuba e nella giornata di venerdì 14 gennaio la definizione formale della Foc è avvenuta con il sorvolo di quattro elicotteri sulla base di Menaka, nel Mali (Fob, Forward Operating Base): un CH-47F Chinook e tre AH-129D Mangusta.

I 200 militari attualmente dispiegati, su un massimo di 250 unità autorizzate, potranno contare su tre Chinook da trasporto del 1° Reggimento Aviazione dell’Esercito, che saranno utilizzati per evacuazione medica, e su tre Mangusta del 5° e 7° Reggimento della Brigata Aeromobile dell’Esercito con compiti di esplorazione e scorta. All’interno di Takuba, gli italiani sono inquadrati nella Task Force Jacana che conta anche quattro squadre di fucilieri “Guardian Angel” del 66° Reggimento dell’Esercito con compiti di sicurezza a bordo dei CH-47 e nelle eventuali fasi di recupero di feriti in zona di operazioni. Il contingente italiano, comandato dal colonnello Andrea Carbonaro, comprende inoltre un supporto medico.

Nervosismi sulla missione Takuba

Fin qui le notizie tecnico-operative comunicate dal Covi, il Comando operativo di vertice interforze da poco guidato dal generale Francesco Paolo Figliuolo. La missione ha lo scopo di combattere il terrorismo jihadista fin dal 2013 quando i francesi lanciarono la missione Serval, denominata Barkhane l’anno successivo. L’idea della coalizione internazionale Takuba è nata nel 2019 ma, al netto delle forze speciali che ne fanno parte e che seguono ben altri protocolli, sembra andare in senso contrario rispetto agli obiettivi iniziali. Anni di operazioni antiterrorismo, decine di morti francesi e il jihadismo continua a espandersi. La Francia sta ritirando metà dei 5mila soldati schierati e nello scorso dicembre dopo 9 anni ha lasciato Timbuktu mentre segnali di nervosismo arrivano da altri Paesi europei.

L’Europa si indebolisce, la Russia si rafforza

Da mesi, infatti, il governo del Mali ha sottoscritto un accordo con la potente società russa di mercenari Wagner sulla base di circa 10 milioni di dollari al mese (ma le cifre cambiano a seconda delle fonti) in cambio di mille “consiglieri”, elicotteri M-171 russi, blindati e la possibilità di sfruttare giacimenti d’oro. Naturalmente il Cremlino smentisce ogni collegamento con Wagner. Proprio in seguito all’accordo con i mercenari russi, il segretario di Stato svedese, Ann Linde, ha annunciato che quest’anno saranno ritirati i militari svedesi dalla missione Takuba.

Dal febbraio 2021 la Svezia ha impegnato 150 unità comprese forze speciali, tre elicotteri UH-60 Black Hawk e un aereo da trasporto C-130 Hercules. L’annuncio, inoltre, arriva alla vigilia della scadenza del comando svedese di Takuba cominciato all’inizio di novembre e della durata di quattro mesi. I francesi hanno provato a sminuire la portata dell’annuncio: secondo la Reuters, una fonte militare francese ha affermato che la Svezia ha sempre pianificato di ritirare le sue forze dopo due anni, che il suo mandato è scaduto nel marzo scorso e che gli ufficiali svedesi rimarranno nella missione.

L’interesse dell’Italia

In Italia, forse più che in altri Stati europei, da molto tempo si parla del rischio dell’espansione del terrorismo nel Sahel con ciò che ne consegue sulla sicurezza internazionale. Le scelte politiche incisive sono però difficili anche perché andrebbero spiegate a un’opinione pubblica più interessata ad altri temi, dalla pandemia alla crisi economica. In poche parole: servono ancora semplici missioni di addestramento o bisogna osare di più?

Se n’è discusso anche nell’ultima riunione informale dei ministri della Difesa e Lorenzo Guerini ha parlato proprio degli “attori non statuali” presenti nel Sahel aggiungendo che “iniziative come quelle previste dalla European Peace Facility potrebbero favorire l’azione delle missioni dell’Unione europea attraverso un maggior supporto ai Paesi in crisi”. L’Epf è uno strumento fuori bilancio che consente il finanziamento di azioni operative nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune che hanno implicazioni nel settore militare o della difesa.

Se difendersi non basta più

E’ un tema estremamente delicato ma proprio per questo meriterebbe un serio approfondimento in ogni Stato e come Unione europea. Su altri fronti, virtuali, si sta cominciando a ragionare diversamente: nel mondo cyber, e in Italia dopo la nascita dell’apposita Agenzia, non è più il tempo solo di difendersi dagli attacchi informatici ma anche di prevenirli, quindi di agire per primi.

Allo stesso modo, come rilevato nella recentissima relazione sulla sicurezza energetica, il Copasir auspica un “rafforzamento della cosiddetta intelligence economica a sostegno di un settore così decisivo, mediante un approccio non solo più difensivo e protettivo, ma anche proattivo e propositivo”. Quando si tratta di mandare scarponi sul terreno la prudenza è molto maggiore, nel frattempo noi addestriamo i soldati del Mali, il Mali paga i russi, i russi ampliano il potere in un’area decisiva, alcuni governi africani cominciano a trattare con i jihadisti, i jihadisti sono sempre più potenti. Bisognerebbe discuterne.



×

Iscriviti alla newsletter