Una prova di forza che nasconde una profonda debolezza. L’intervento di Vladimir Putin in Kazakistan, l’invio delle forze speciali russe segnalano un punto di arresto nei piani imperiali dello zar. Il commento del generale Mario Arpino
Cerchiamo di guardare alle cose del mondo con pragmatico realismo, senza badare ai tanti interessati influencers od alle autosuggestioni che sempre accompagnano le emozioni: lo zar chiuso in gabbia si chiama Vladimir Putin, la gabbia in cui ha finito per cacciarsi, passo dopo passo, è l’incredibile numero di crisi che lo circonda.
Che ci si sia infilato volontariamente, come in Georgia, nel Donbass, in Crimea, in Ucraina o in Libia, oppure che sia stato “chiamato”, come in Siria ed ora in Kazakistan, o, ancora, “sfruttato” da qualcuno più abile di lui, come nel sostegno alla Serbia, alla Belorussia, al governo di Yerevan (missili Iskander in Nagorno- Karabakh) o nell’innaturale “amicizia” con la Turchia (missili S-400 ed altro) dell’ineffabile volpe islamista che la governa, poco conta. Il fatto che tutto ciò venga venduto al pubblico (sopratutto al suo) come immagine di forza, di determinazione e di superiore acume politico e commerciale, certamente soddisfa l’ego politico di Vladimir Putin.
Tuttavia, l’”invasione” del’ Kazakistan, che in cronaca in questi ultimi giorni ha spiazzato l’attenzione dei media dall’enorme dispiegamento di corazzati e truppe celeri russe attorno all’Ucraina, a nostro avviso non fa altro che confermare che Putin si sente diplomaticamente isolato ed ha bisogno di mostrare i denti (al mondo, ma lo ripetiamo, sopra tutto ai suoi) facendo vedere come risposta immediata alle “bizze” dell’infedele ed ingrato popolo in sommossa qualcosa di altamente credibile.
Cosa c’è al mondo di militarmente più credibile della Folgore e delle nostre Forze Speciali, dei paracadutisti del Deuxieme Rep della Legione Straniera, dello Special Air Service britannico, della Brigata Golani di Israele o della 101^ Airborne dell’Us Army? Poco o nulla. Ecco, le truppe comandate dal generale Andrey Sedov, che Putin su “richiesta” dell’amico presidente Jomart Tokayev ha spettacolarmente inviato a sedare i rivoltosi, sono qualitativamente una sintesi e quantitativamente una sommatoria delle unità occidentali che, con ammirazione, abbiamo selettivamente indicato.
Una prova di forza? Senza dubbio. Ma è anche una prova che i bravi analisti possono interpretare come una esplicita dimostrazione di debolezza, utilizzata quale extrema ratio all’esaurirsi per logoramento della panoplia diplomatico-militare ed economica ancora utilizzabile sul palcoscenico globale. Putin è in gabbia e può far male, ma forse gli piacerebbe tanto uscirne e dormire davvero sogni più sereni. Come? Sognando ad occhi aperti, forse spera in una nuova Yalta, ormai ridimensionata ed adattata, ma sicura, che garantisca altri cinquant’anni di pace.
Potrebbe essere il più bel regalo da fare al suo successore ed al patriottico popolo russo, che tuttavia comincia ad averne abbastanza di sanzioni, restrizioni ed avverte un prepotente desiderio di Occidente. Parola cui qui vorremmo conferire un significato culturale, di atteggiamento verso la vita, piuttosto che geografico. A questo punto, ritornano valide alcune considerazioni già svolte proprio su queste pagine a proposito della tenzone ancora in atto sull’Ucraina.
I più grandicelli senz’anno ricorderanno lo “spirito di Pratica di Mare”e la creazione nell’ambito dell’Alleanza della Commissione Nato-Russia. È a questo spirito che, piano piano, magari attraversando qualche altra moderata burrasca, sarebbe bene si riuscisse a ritornare. Ci vorrà molto tempo, ma questo è il momento più opportuno per ricominciare in qualche modo a dialogare.
Occasioni di incontro ce ne saranno già nei prossimi giorni a tutti in livelli ed in tutti in formati. Multilaterali, bilaterali, di vertice o specialistiche. Non è detto che le difficili condizioni che ultimamente osserviamo sul terreno, specie sotto il profilo tecnico-militare, non siano state appositamente create per trovare vie di colloquio che possano portare, nel tempo, a soluzioni tali da consentire ai leader di non perdere la faccia ed alla diplomazia di ridare efficacia al proprio ruolo. La buona politica è capace di questo ed altro.
Diamo per scontato che si partirà da posizioni aspre ed inaccettabili, ma nella consapevolezza che ciascuno aspira ad un lungo periodo di stabilità, conseguibile solo inghiottendo qualche rinuncia ad ampliare continuamente i propri spazi, accettando consapevolmente situazioni di fatto che affondano le radici nella Storia e lasciando che, nel tempo, l’Occidente (quello culturale) ritrovi una sua compattezza.
Sotto questo profilo, anche la Russia è Occidente, e sono in molti ad essere convinti che, senza irrigidimenti, qualche reciproco passo in questa direzione risponda non solo ad un interesse, ma anche ad un desiderio comune. In passato era già accaduto. In presenza di differenti culture che si stanno rapidamente affermando, occorre riunire con urgenza ogni affinità ci appaia omogenea e stringerci gradevolmente assieme. E’ un’occasione che non va sprecata.