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Kazakistan, il gas e la crisi da gestire

Crisi per Tokayev. Così l’aumento del gas naturale liquefatto scatena le proteste contro il presidente e contro le istituzioni

Il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev ha accettato le dimissioni del governo dopo le violente proteste scoppiate nel Paese a causa di un aumento del prezzo del gas naturale liquefatto. La polizia ha utilizzato gas lacrimogeni e granate stordenti per sedare i disordini che si sono sviluppati nella serata di martedì nelle strade di Almaty, la più popolosa città kazaka (due milioni di abitanti) situata ai piedi dei monti Kungov Ala che segnano il confine con il Kirghizistan.

Dopo una nottata concitata, mercoledì mattina Tokayev ha dichiarato lo stato di emergenza nella città sud-orientale e nella regione occidentale di Mangystau: sarà attivo fino al 19 gennaio e comporta l’imposizione di un coprifuoco, restrizioni per lo spostamento dei cittadini, chiusura delle app di messaggistica come Whatsapp, Signal e Telegram e il blocco di diversi media. Le proteste erano iniziate domenica, dopo che sabato sono stati tolti i tetti ai prezzi del Lpg (gas naturale liquefatto, che è ampiamente usato come alternativa più economica alla benzina nelle automobili dell’Asia centrale) causando un raddoppio dei costi che i cittadini subiranno direttamente sia negli usi domestici che produttivi.

Il ministero dell’Interno parla di “oltre 200 arresti” per i disordini collegati alle manifestazioni. Le proteste pubbliche sono illegali nel Paese, a meno che gli organizzatori non presentino un avviso con ampio in anticipo, e in questo caso la reazione dei cittadini ha colto tutti di sorpresa, soprattutto per il fatto che le manifestazioni si sono diffuse velocemente. Le autorità temono che questa rapidità possa far scivolare la situazione verso il rovesciamento dell’ordine di potere di Tokayev e hanno reagito.

Almeno una ventina di poliziotti sono rimasti feriti negli scontri, altre dozzine tra i manifestanti. Si tratta del primo grande test per il nuovo presidente, in un Paese dove le iniziative contro il governo sono state poco frequenti. Il Kazakistan, insieme alla Russia e ad altri paesi della regione, sta lottando con un’alta inflazione e con l’aumento dei prezzi dei prodotti di base in mezzo alla tensione economica della pandemia.

Le attuali proteste sono state definite le più grandi fino ad oggi per il Kazakistan e sono anche le prime dalle elezioni presidenziali del 2019, che hanno seguito le dimissioni di Nursultan Nazarbayev dopo quasi 30 anni al potere. Da notare che è anche possibile che a soffiare sulle proteste possa essere stata una fazione dell’élite che vuole sbarazzarsi completamente di Nazarbayev.

Alcuni funzionari nelle regioni occidentali hanno accettato di tagliare il prezzo del carburante, ma i manifestanti sono rimasti in strada e hanno avanzato nuove richieste, tra cui miglioramenti in generale della qualità della vita, la proroga del parlamento e le dimissioni di Nazarbayev dalla sua posizione di “Leader della Nazione”, in base alla quale mantiene di fatto il controllo della maggior parte delle principali sfere del Paese.

Tokayev ha creato un comitato governativo speciale per trovare una soluzione, e ha promesso di discutere “richieste di natura socio-economica”. Il suo obiettivo è cercare di descrivere la situazione come regionale e non dipingere le proteste come politiche. “Chiedo ai manifestanti di non seguire gli appelli delle forze distruttive, interessate a minare la stabilità e l’unità della nostra società”, ha scritto su Twitter il presidente. Ma dopo che questo messaggio non è riuscito a fermare i manifestanti antigovernativi, ha ordinato alla polizia di usare gas lacrimogeni e granate stordenti per disperdere la folla.

Il governo dovrà ora fare più che invertire l’aumento del prezzo del gas per calmare l’atmosfera; la situazione è arrivata a un punto di rottura. Le promesse del governo di bloccare/invertire gli aumenti dei prezzi del gas potrebbero dover essere seguite da altre concessioni (soprattutto in materia economica e fiscale) all’elettorato.

Sulle proteste c’è l’occhio di Mosca, perché si svolgono in una regione di mondo che per la Russia rappresenta una naturale sfera di influenza e le manifestazioni possono diventare un modo per stringere le relazioni con Tokayev (qualcosa di simile a quanto successo con Minsk). Le ex repubbliche sovietiche centro-asiatiche sono parte della catena del valore russa, ma sono anche oggetto degli interessamenti di Cina (per la Belt and Road), Turchia (che vuole costruire nell’Asia Centrale un blocco strategico unico) e Iran (che nell’area cerca influenza come sfogo per le limitazioni in Medio Oriente).

Una nota: nel Paese viene minato il 18 per cento dei Bitcoin in circolazione e società di criptomining cinesi vi hanno recentemente stabilito attività per i bassi costi energetici (energia che è invece fondamentale per le criptovalute). Come sottolineava su Twitter Arcangelo Rociòla di Agi, proprio ieri Caanan, la quinta società di criptomining al mondo, aveva annunciato l’espansione delle attività in Kazakistan raggiungendo le 10.300 Avalaon Miner (i processori per il mining) nella città di Taraz, non troppo distante da Almaty. Secondo il Financial Times, nel 2021 la domanda di elettricità nel paese è aumentata almeno dell’8 per cento ed è in crescita costante, causando “gravi problemi di approvvigionamento”.

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