Il dibattito sulla riforma del Patto di Stabilità e Crescita si è riaperto con l’intervento congiunto di Macron e Draghi per una nuova impostazione delle politiche di bilancio nell’Unione Monetaria Europea. Ma pur avendo stimolato questa iniziativa molte proposte da parte degli economisti, è necessario ricordare che convincere i mercati finanziari della sostenibilità delle scelte che si faranno è fondamentale. L’analisi di Salvatore Zecchini
L’intervento congiunto di Macron e Draghi per una nuova impostazione delle politiche di bilancio nell’Unione Monetaria Europea (Ume) ha riaperto il dibattito sulla riforma del Patto di Stabilità e Crescita (Psc), offrendo l’occasione per un proliferare di proposte che si aggiungono a quelle avanzate in precedenza. Molti i motivi che hanno indotto i due presidenti a uscire allo scoperto con idee fortemente innovative nel finale del 2021, in quanto quest’anno il tema sarà al centro dei negoziati tra Paesi membri a Bruxelles in vista di una riforma che dovrebbe maturare in tempo per evitare il ripristino dei vincoli attualmente sospesi fino al prossimo anno.
La necessità di ridefinire le regole di finanza pubblica appare di tutta evidenza se si confrontano i dati attuali e prospettici sui disavanzi e sul debito in rapporto ai parametri obiettivo fissati dal Patto. Le notevoli spese pubbliche rese necessarie dalla duplice esigenza di assistere la popolazione colpita dalla pandemia e di sostenere la ripresa dell’economia dopo la grave recessione provocata dalla crisi sanitaria hanno portato i disavanzi e i debiti pubblici degli stati ben oltre i limiti rispettivamente del 3% e del 60% del Pil. La Commissione stima che nel 2021 nell’area dell’euro il rapporto debito/Pil sia salito al 99% e il disavanzo/Pil al 6,6%. Né sembra fattibile il rientro dal debito nell’arco di un intero ciclo economico, come vorrebbe la disciplina dettata dal Patto, senza dover adottare correzioni tali da smorzare oltremisura la ripresa economica tanto necessaria.
Oltre all’apparente divergenza rispetto ai limiti prefissati militano a favore di una profonda revisione del Patto considerazioni analitiche sull’impatto che ha avuto nel decennio scorso. Un’attenta disamina si trova nella valutazione fatta dal European Fiscal Board (Efb) ad agosto 2019 su richiesta della Commissione Europea. In essa si mette in particolare evidenza la complessità dei limiti da rispettare, la loro crescente numerosità negli anni, che non ha portato a un miglioramento della loro osservanza, ma anzi a un allontanamento, in specie dall’obiettivo di debito, la mancata considerazione di altri squilibri macroeconomici, l’eccessivo aumento della spesa pubblica, le correzioni di bilancio a spese della quota degli investimenti, che sono invece i più indicati per aumentare il potenziale di crescita, e il carattere pro-ciclico dei vincoli, che stringono i lacci quando bisogna allentarli e viceversa li lasciano larghi quando si può stringerli. La programmazione di bilancio per il medio periodo, inoltre, non ha prodotto l’atteso avvicinamento al rispetto dei limiti a causa sia della sua inadeguatezza, sia delle carenze nella fase di attuazione. Complessivamente, l’intera impalcatura di regole che si è costruita nel passato ventennio non si è rivelata adeguata allo scopo.
Nel riformarla bisogna affrontare due problemi che richiederebbero risposte apparentemente inconciliabili: 1) come sostenere la crescita? e 2) come assicurare nel contempo la sostenibilità di medio periodo delle finanze degli stati membri? Per i due presidenti, l’obiettivo prioritario per i prossimi dieci anni deve essere attuare in comune una strategia per la crescita dell’economia europea e permettere il finanziamento di tutte le spese che servono a costruire una maggiore prosperità negli anni futuri. Le nuove regole di bilancio non devono ostacolare l’attuazione della strategia, ma essere funzionali al raggiungimento dell’obiettivo. In altri termini, da una crescita di qualità, trainata da fattori, quali gli investimenti, le riforme e le infrastrutture, e sostenuta da mezzi appropriati deriverà la sostenibilità finanziaria.
Questa interpretazione delle regole, benché coerente con le esigenze dell’attuale fase economica, si allontana significativamente dalla loro originaria ragion d’essere. Le regole derivano in realtà da uno dei principi che sta alla base della costruzione dell’Ume, che consiste nel prevenire che squilibri finanziari in uno stato si ripercuotano sugli altri e sulla Bce, i quali per evitare la diffusione dell’instabilità finanziaria all’intera area sarebbero costretti a intervenire in soccorso. In particolare, si escludeva in via di principio la solidarietà finanziaria tra gli stati membri, un principio tuttavia irrealizzabile a causa degli sconvolgimenti monetari che la sua rigorosa applicazione avrebbe determinato. Su questo punto appare tutta la vulnerabilità di questa Unione Monetaria sbilanciata, in quanto a una politica monetaria unica non fa da complemento una di bilancio altrettanto coesa in grado di accompagnarla nell’azione di stabilizzazione e rilancio economico. Vi è, invece, solo un coordinamento tra stati affidato a regole imperfette e sempre aggirabili o sospendibili.
Con le proposte dei due presidenti e di altri autori, che si richiamano tra l’altro all’esempio del Pnrr, si vuole superare in qualche misura questo principio di disciplina di bilancio e di non soccorso per far leva sulla solidarietà comunitaria limitatamente al perseguimento di obiettivi di crescita condivisi e a condizione di stringenti verifiche dagli organi comunitari. Già con la costituzione del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) e le Omt della Bce si ammette la possibilità di un’assistenza finanziaria agli stati, ma sottoponendo a vincoli la loro politica economica. Si è transitati, pertanto, verso forme limitate di solidarietà condizionata, che è diretta a mantenere la stabilità nell’Ume, mentre con le nuove proposte si tende ad estenderla a programmi di rilancio economico. La ratio originaria del Psc non è, tuttavia, venuta meno, in quanto la disciplina di bilancio, pur nella nuova interpretazione, continua a costituire un pilastro per la tenuta dell’Unione. È un punto di riferimento, un parametro per valutare il realismo o la fattibilità delle varie proposte di un nuovo Psc.
Altro parametro da definire riguarda il modo di tradurre in indicatori da verificare la nuova configurazione del Patto orientata a contemperare crescita con sostenibilità finanziaria. Ancora, un altro aspetto da risolvere è dato dal trattamento da riservare all’extra-debito in cui tutti gli stati sono incorsi per affrontare la crisi sanitaria e la recessione economica nello scorso biennio. Se si dovesse rientrare da questo debito nell’orizzonte temporale fissato dal Patto esistente, sarebbero necessarie misure difficilmente compatibili con la crescita e la tolleranza sociale. Va aggiunto anche l’aspetto della semplificazione dei parametri di riferimento per agevolare l’applicazione del Patto stesso. Alla luce di questi quattro criteri si possono considerare alcune delle principali proposte avanzate dai più rinomati esperti.
Blanchard, Leandro e Zettelmeyer, dopo aver analizzato le condizioni di sostenibilità dei debiti nazionali nel probabile contesto dei prossimi anni, giungono alla conclusione sorprendente che le soluzioni sarebbero tutt’altro che semplici e che in ogni caso la loro complessità non permetterebbe di abbracciare tutte le evenienze possibili. Propongono, pertanto, di abbandonare le regole quantitative di bilancio e di applicare, in loro vece, prescrizioni qualitative da sviluppare con simulazioni stocastiche della sostenibilità dei debiti, da condurre da parte della Commissione Europea. Le violazioni dovrebbero essere giudicate da un organo indipendente e non dal Consiglio Europeo. La proposta sembra difficilmente accettabile perché poco vincolante, imponderabile ex-ante ed eccessivamente sganciata dalla dimensione politica delle decisioni dell’Unione.
L’Efb propone la fissazione di un tetto di medio periodo per il debito in rapporto al Pil da raggiungere attraverso un vincolo sul tasso d’incremento della spesa pubblica primaria al netto, oltre che del servizio del debito, delle variazioni discrezionali delle entrate di bilancio, ovvero delle imposte. Il vincolo sarebbe fissato nella prospettiva del triennio seguente e sulla base della traiettoria del reddito potenziale nonché del numero di anni entro i quali il Paese dovrebbe avvicinarsi all’obiettivo. Nel caso di eventi imprevisti, il vincolo verrebbe rilassato per assicurare flessibilità al meccanismo, mentre per il resto l’inosservanza del vincolo dovrebbe essere valutata da un soggetto indipendente e scoraggiata con incentivi al rispetto delle regole piuttosto che con penalità. La spesa per investimenti, dato il suo ruolo nella crescita, dovrebbe essere protetta da tagli con misure da determinare. La proposta, che non si distanzia da quelle avanzate da importanti istituzioni internazionali, appare in alcuni punti di difficile definizione nei parametri e in altri punti indeterminata, con ampi margini per negoziare paese per paese e quindi col rischio di trattamenti sperequati. Non sarebbe facile farla accettare dai paesi cosiddetti rigoristi.
I consulenti economici dei due presidenti hanno formulato un’articolata proposta di modifica, che solo in alcuni punti è analoga alle precedenti. Separano il problema dell’extra-debito da quello più generale delle regole per il ritorno alla sostenibilità del debito/Pil. L’extra-debito, misurato dall’incremento negli anni di sospensione delle regole del Patto, ovvero che possono estendersi al 2023, sarebbe trasferito in un quinquennio a una nuova Agenzia dell’Unione che lo acquisterebbe emettendo titoli sul mercato a un tasso che sarebbe inferiore a quello pagato dal paese debitore per effetto della garanzia comunitaria. Il debito sarebbe rinnovato alla scadenza e il suo servizio sarebbe a carico del paese. Il rientro nel limite del 60% fissato dal Patto attuale avverrebbe ponendo un tetto all’incremento annuale della spesa al netto di diverse voci, limite rivisto ogni tre anni. Le voci esenti comprendono le spese per la crescita, ovvero gli investimenti, quelle per il servizio dell’extra-debito, quelle per gli stabilizzatori automatici e ogni altra spesa funzionale a generare prosperità nel futuro. Per queste voci si stabilirebbe un rientro lento dal debito generato per finanziarle, mentre per le altre sarebbe previsto un assorbimento rapido nell’arco di 10 anni. In breve, porzioni di debito e di spesa pubblica sono soggetti a vincoli di aggiustamento a velocità diverse. Non poche sono le perplessità di fronte a questo meccanismo, tali da non lasciare prevedere una sua accettazione unanime.
A parte la mancanza di semplicità nel calcolo dei parametri, la molteplicità di esenzioni e la vaghezza della loro definizione rendono i vincoli troppo rilassati, se non proprio blandi ed esposti ad aggiramenti. Il consolidamento dell’extra-debito attraverso il suo trasferimento a un’Agenzia non sembra essenziale, considerato che una buona parte sta nel bilancio della Bce e potrebbe restarvi a lungo senza dover necessariamente creare difficoltà alla politica monetaria. La Bce dispone di diversi mezzi di regolazione della liquidità nel sistema. La parte del debito già sul mercato potrebbe beneficiare di una nuova garanzia comunitaria, senza richiedere una nuova Agenzia. L’extra-debito, inoltre, dovrebbe essere al netto di operazioni di acquisizione di assets da parte del paese e di spese indipendenti dalla crisi sanitaria. La determinazione delle spese che darebbero luogo a un lento aggiustamento del debito corrispondente potrebbe risultare opinabile e frutto di negoziati ad hoc, che lascerebbero spazio a disparità tra stati.
Bordignon e Pisauro propongono un meccanismo più semplice; lasciano invariato l’obiettivo di debito a 60%, ma modificano la velocità a cui l’obiettivo va raggiunto. Per ogni paese viene definito un piano di rientro dall’eccesso di debito che tiene conto della posizione debitoria iniziale, della sua sostenibilità e dell’esigenza di permettere un tasso di crescita soddisfacente, stimato sulla base di realistiche previsioni di espansione nel triennio successivo. Lo strumento per avvicinarsi all’obiettivo è dato dal limite posto all’incremento della spesa pubblica con esclusione delle componenti legate alla congiuntura, quelle che accrescono il potenziale di crescita, e quelle per grandi progetti di rilevanza nazionale ed europea. Pertanto, mediante un limite, che si rivede ogni tre anni, si favorisce il riassorbimento graduale del debito e nello stesso tempo il miglioramento della composizione della spesa per renderla più produttiva. In caso di deviazioni inammissibili è la Commissione Europea che detta il piano di rientro.
Altre proposte presentano combinazioni diverse degli stessi tratti con l’aggiunta di un depotenziamento del ruolo delle regole quantitative a favore di un approccio più discrezionale delle istituzioni comunitarie, e di un rafforzamento del bilancio europeo perché si faccia carico delle spese per i grandi programmi d’investimento ed innovazione promossi dall’Ue, quale quello del Next Generation Europe. Altri ancora propongono un semplice aggiornamento verso l’alto dei limiti del Patto per tenere conto dell’attuale livello d’indebitamento degli stati e della gradualità nel riassorbimento dei disavanzi.
Quanto siano concrete le probabilità che le proposte avanzate ricevano il consenso unanime necessario per l’approvazione resta molto dubbio di fronte alle considerevoli differenze di vedute manifestate dagli Stati da parecchio tempo.
Nei negoziati tra Stati alcuni aspetti riceveranno inevitabilmente particolare attenzione: in particolare, l’importanza di regole numeriche piuttosto che approcci discrezionali col rischio di disparità di trattamento; semplicità delle regole e loro periodica rivedibilità alla luce dell’esperienza; percorsi di aggiustamento calibrati sulle possibilità di ogni stato di avanzare nell’aggiustamento senza pregiudicare le possibilità di crescere ed investire nel futuro; simmetria dell’aggiustamento tra Paesi ad alto e basso debito; applicare forme della regola aurea di esenzione dall’aggiustamento delle spese per la crescita futura; e rendere la strategia per la crescita compatibile con quella per la stabilità dei prezzi e finanziaria del sistema.
Non va, peraltro, dimenticato che bisogna anche convincere i mercati finanziari della sostenibilità delle scelte che si faranno. Senza il loro consenso il nuovo Patto non si regge.