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Patto di Stabilità, le ragioni di una riforma secondo il gruppo dei Venti

Il Gruppo dei 20 avvia con il tema della riforma del Patto di Stabilità e Sviluppo una serie di incontri mensili che riguarderanno i temi aperti dal Recovery Fund alle modifiche attese della governance europea

La Commissione europea definisce lo Stability and Growth Pact (Sgp), un “insieme di regole intese a prevenire le conseguenze negative delle politiche fiscali, a correggere spese o debito pubblico eccessivo”. Le regole fissate nel 2012 con lo Sgp prevedono l’impegno dei paesi firmatari (tutti tranne Regno Unito e Repubblica Ceca) ad avere:

1) un deficit pubblico strutturale (corretto cioè per il ciclo) non superiore allo 0,5% o all’1% del Pil (rispettivamente, per i paesi con debito pubblico inferiore al 60% del Pil, o superiore al 60% del Pil);

2) l’obbligo per i Paesi con debito pubblico superiore al 60% del Pil di ridurre di un ventesimo, ogni anno, questa eccedenza;

3) l’obbligo, per tutti i paesi, di mantenere sempre il deficit pubblico sotto la soglia del 3% del Pil, obbligo che se non rispettato produce
sanzioni semi-automatiche.

Sono regole che sono state sospese fino a tutto il 2022, utilizzando la clausola di eccezionalità della situazione pandemica, ma che torneranno ad essere in vigore nel 2023, se non verrà raggiunto un accordo per la loro revisione. Un nuovo accordo appare necessario perché il Patto ha mostrato per un verso la sua inadeguatezza a raggiungere gli stessi obbiettivi che si proponeva, il contenimento del debito pubblico e la protezione dal rischio di insolvibilità del debitore. Per altro verso è diventato sempre più evidente che la politica monetaria non è in grado di realizzare politiche di stabilizzazione del ciclo se non coniugandosi con un’opportuna politica fiscale.

Inoltre l’operare del Next GenerationEu richiede un grande impegno in materia di investimenti pubblici per realizzare l’obiettivo di una ripresa in cui sia assicurata la resilienza e la sostenibilità(economica, finanziaria, ma anche ambientale e sociale) della
crescita. Ed è proprio dall’esigenza di guardare al futuro nell’ottica della sostenibilità di un debito orientato alla crescita che determina l’esigenza di mettere a punto un nuovo Patto di stabilità e sviluppo.

La prima questione da affrontare è se la modifica del Psg sia fattibile, senza mettere in discussione l’impianto complessivo del Trattato di Maastricht, visto che in questa direzione ci sarebbero difficoltà praticamente insormontabili. La risposta è positiva perchè i parametri e le regole su debito e spesa non sono previsti esplicitamente nel Trattato ma indicati in testi normativi secondari e dunque sono, in principio, modificabili.

Quanto alle modifiche cui si dovrebbe procedere è chiaro che si tratta di adottare meccanismi allo stesso tempo più flessibili di quelli in essere ma, comunque, in grado di rispondere alle preoccupazioni sulla solvibilità dei debitori dei Paesi che è la preoccupazione non solo “frugali” ma, allo stesso tempo, capaci di assicurare la sostenibilità del debito nel lungo periodo, superando l’idea di una stabilità legata al breve periodo. Una proposta che va in questa direzione è quella espressa in Francia dal Consiglio d’Analisi Economica (Cae) che disegna un sistema di regole che rispondono all’esigenza di assicurare in maniera contemporanea la sostenibilità del debito e il sostegno alla domanda attraverso la politica fiscale.

Ciò potrebbe avvenire con il conseguimento, a livello del bilancio, di un adeguato avanzo primario e allo stesso tempo, di un differenziale positivo tra tasso di crescita del Pil e tasso d’interesse, stimato in termini probabilistici. Il tutto dovrebbe avvenire sotto la responsabilità di una Istituzione nazionale indipendente e la verifica dell’Unione Europa dell’accettabilità degli obbiettivi e delle relative aspettative di crescita.

La sintonia di Italia e Francia su questi temi è stata sottolineata di recente in un’intervista congiunta dei Presidenti Draghi e Macron. La modifica del Patto sarebbe un cambiamento radicale dell’approccio previsto sino ad oggi e, che, se attuato, diventerebbe capace di tener conto delle diverse situazioni e delle scelte di politica fiscale di ciascun Paese, abbandonando, criteri numerici uniformi. E consentirebbe di evitare gli squilibri macroeconomici che hanno accompagnato l’utilizzo dei criteri del GSP dalla sua introduzione ad oggi.

C’è da dire che la consapevolezza diffusa dei grandi cambiamenti in atto nel mondo a seguito della pandemia ha fatto emergere non solo la convinzione che occorra ripensare le regole di Maastricht ma anche, che ci sia l’esigenza dopo il Next Generation Eu, di modifiche della Governance europea che dovranno riguardare sia i meccanismi di voto che i caratteri del Bilancio nel post Covid. Sono questioni che dovranno tener conto anche di quanto emergerà dalla Conferenza sul Futuro d’Europa lanciata nel maggio del 2021 dall’UE che si è impegnata a utilizzarne i risultati. Si tratta di una importante sfida che abbiamo di fronte per il prossimo futuro.

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